martedì 13 luglio 2010

La Cosa (da La nausea di Jean-Paul Sartre)

La Cosa, che aspettava, si è svegliata, mi si è sciolta addosso, cola dentro di me, ne son pieno... Non è niente: la Cosa sono io. L'esistenza liberata, svincolata, refluisce in me. Esisto.
Esisto. È dolce. Dolcissimo. Ho la bocca piena d'acqua spumosa. L'inghiotto, mi scivola in gola, mi carezza, ed ecco che mi rinasce in bocca: nella bocca mi rimane di continuo una piccola pozza d'acqua biancastra, discreta, che mi sfiora la lingua. E questa pozza sono ancora io. E la lingua. E la gola, sono io.
Vedo la mia mano che si schiude sul tavolo. Essa vive – sono io. Si apre, le dita si spiegano e si tendono. È posata sul dorso. Mi mostra il suo ventre grasso. Sembra una bestia rovesciata. Le dita sono le zampe. Mi diverto a muoverle, in fretta come le zampe di d'un granchio caduto sul dorso. Il granchio è morto, le zampe si rattrappiscono, si richiudono sul ventre della mia mano. Vedo le unghie – la sola cosa di me non viva. E ancora. La mia mano si rivolta, si stende pancia a terra, adesso mi presenta il dorso. Un dorso argentato, un po' brillante – sembrerebbe un pesce, se non avesse dei peli rossi al principio delle falangi. Sento la mia mano. Sono io, queste due bestie che s'agitano all'estremità delle mie braccia. La mia mano si gratta una zampa con l'unghia d'un'altra zampa: sento il suo peso sul tavolo, che non sono io. Continua, continua quest'impressione del peso, non passa mai. Non c'è ragione perchè passi. Alla lunga è intollerabile... Ritiro la mano, me la metto in tasca. Ma subito, attraverso la stoffa, sento il calore della coscia. Ritraggo subito la mano di tasca e la lascio penzolare contro lo schienale della sedia. Adesso ne sento il peso in cima al braccio. Pesa un po', appena appena, mollemente, midollosamente esiste. Non insisto più: dovunque la metta, continuerà ad esistere ed io continuerò a sentire che esiste; non posso sopprimerla, come non posso sopprimere il resto del mio corpo, il calore umido che m'insudicia la camicia, né tutto questo grasso caldo che si muove pigramente come se lo si rimescolasse col cucchiaio, né tutte le sensazioni che circolano lì dentro, che vanno e vengono, che salgono dal fianco all'ascella, oppure vegetano tranquillamente, dal mattino alla sera, nel loro angolo abituale.
Mi alzo di scatto: se soltanto potessi smettere di pensare, andrebbe già meglio. I pensieri, non c'è niente di più insipido. Ancora più insipido della carne. Si trascinano a non finire e lasciano un gusto strano. E poi ci sono le parole, dentro i pensieri, le parole incompiute, le frasi abbozzate che ritornano sempre [...]

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