venerdì 23 luglio 2010

Ira: Variazioni sul tema

Nel mondo latino, parlando d’ira il riferimento obbligato è Lucio Anneo Seneca, autore di un De ira, dedicato al fratello maggiore e composto sotto il principato di Caligola, probabilmente nel 41. Seneca, all’esordio del libro secondo, dice qualcosa di essenziale della sua patogenesi: “ira quin species oblata iniuriae moveat non est dubium”, “non vi è dubbio che l’ira muova dalla percezione di un’offesa ricevuta”. In altri termini, l’ira mostra ancora una volta la sua radice nell’indignazione. Seneca ritiene però che essa non riesca a spingere all’azione se non riceve l’assenso dall’animo tutto. Quando ancora è reazione, l’ira non è ancora una passione: è come quando qualcuno ci bagna con un getto di acqua fredda, dice Seneca, la nostra reazione è naturale e subitanea e involontaria. L’ira autentica, quella da cui guardarsi, “consiste non nel turbamento che arriva all’improvviso, ma nel lasciarsi prendere e trascinare da quella sensazione, assecondando un impulso casuale (fortuitum)”.

La vera ira è dunque quella che scavalca la ragione, che è incapace di contenere il moto del proprio animo e che anzi – dice Seneca – si trascina dietro la ragione. L’ira provoca l’attacco, stacca i freni inibitori, anche se si è uomini pacifici: l’ira non ha nulla a che vedere con la ferocia.
Ed ecco un passaggio interessante: ma allora, l’interlocutore obietta a Seneca all’inizio del sesto capitolo, l’uomo virtuoso deve adirarsi di fronte alle azioni disoneste. No, risponde Seneca, perché altrimenti il saggio sarebbe perennemente adirato, data l’ingiustizia del mondo, e sprofonderebbe nella tristezza, cattiva compagna dell’ira. Se il saggio dovesse adirarsi nella misura richiesta dall’infamia dei delitti, impazzirebbe (IX).

In ogni caso, ed in polemica diretta con Aristotele del quale cita in proposito il passo dell’Etica Nicomachea che abbiamo riportato in precedenza, l’ira -come le altre affezioni dell’animo- è da rigettare comunque: assurdo lasciarsi guidare da essa come dalle altre passioni, ma illusorio anche pensare di poterle piegare alla propria disposizione, in quanto restano pessime aiutanti, oltre che cattive consigliere. Già Livio aveva detto che “ira e speranza sono guida ad errori” [Livio, Hist., 7, 40]. Lo studio del saggio stoico si trasforma in una camera operatoria, dove cercare di imparare a vivere e a morire stemperando le passioni. Si diviene signori di se stessi conformandosi all’armonia del cosmo, abituandosi all’idea della morte: la meditatio mortis sconta ratealmente e in anticipo la paura della morte, la diluisce lungo l’arco di una vita: “timor mortis, dominus sapientiae”. Di una vita nella quale le passioni non debbono avere voce.
Rispetto alle altre passioni, l’ira senechiana è contraddistinta dal suo carattere pubblico; è un passione evidente agli occhi di tutti, l’irato ha una fisionomia caratteristica: “l’espressione risoluta e minacciosa, la fronte aggrottata, la faccia scura, il passo concitato, le mani irrequiete, il colorito alterato, il respiro frequente e affannoso”.
Anche se chi è fremente d’ira tenta di nasconderla, non riesce a dissimulare il suo stato: “cetera licet ascondere et in abdito alere; ira se profert et in faciam exit, quantoque maior, hoc effervescit manifestius”.

Che l’ira si legga sul viso resta un topos per un paio di millenni, se è vero che anche Darwin ricorda come la rabbia si esprima con gesti “minacciosi e frenetici e con l’arrossamento della pelle”, mentre un altro segno – l’aggrottarsi delle sopracciglia – sembrerebbe essersi perso con l’evoluzione.
Quali che siano i segni, nel comportamento dell’irato si manifesta un rovesciamento, l’inversione delle stesse inclinazioni individuali.

Un altro aspetto dell’ira va colto nel suo rapporto col tempo, un aspetto di cui apprezzeremo tutta l’importanza in seguito. L’ira, dice Orazio, “furor brevis est”, cioè – per tradurre con il Petrarca dei Trionfi – “l’ira è breve furor”. Non dura a lungo. Per questo viene espressa con verbi come scoppiare, divampare, ardere, ruggire. Anche Cicerone dice che “ira perturbatio plerumque brevis est, ed ad tempus”, l’ira è una perturbazione dell’animo breve e che ha un tempo, cioè è limitata nel tempo, non si mantiene a lungo. Quindi, se le si dà tempo, è destinata a placarsi.

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