domenica 22 agosto 2010

LA NOSTRA ANNA CLEMENTE: UNA MARCIA CHE VALE ORO

SINGAPORE, 21 agosto 2010 - L’Italia delle donne colpisce ancora e prende altre due medaglie, una d’oro con Anna Clemente nell’atletica, 5 chilometri di marcia, una di bronzo con Carlotta Ferlito nella ginnastica, al volteggio. Così, l’Italia arriva a 8 ori, 4 argenti e 4 bronzi, sempre terza nel medagliere non ufficiale dell’Olimpiade giovanile. Curiosità: i giovani hanno già eguagliato il bottino d’oro dei grandi a Pechino 2008. I confronti sono improponibili, ma il segnale è comunque importante.

LA GRANDE IMPRESA — Di sicuro, regge a qualsiasi paragone la vittoria di Anna Clemente, tarantina di Laterza, 16 anni, dell’Atletica Don Milani, allenata da Tommaso Gentile, il mago della marcia giovanile. Da Mottola, infatti, dove si allena il gruppo di Gentile, arriva anche Antonella Palmisano, argento agli Europei junior 2009 e 5ª ai Mondiali junior 2010. Clemente e Palmisano si allenano insieme e costituiscono due certezze per il futuro della marcia femminile azzurra. Nella gara olimpica, la Clemente si presenta con il terzo tempo di entrata (23’00"90, stabilito a Matera prima di partire per Singapore), tanto che la sua speranza è solo il podio. "Pensavo alla medaglia di bronzo" dice lei. La partenza è pericolosa per lei, con l’ucraina Galchenko e la russa Leontyeva a tenere un ritmo impossibile. "Sono stata in difficoltà all’inizio, ma non ho mai mollato. Ho avuto una piccola crisi ai 2 chilometri, ho tenuto duro e l’ho superata, non potevo farmi staccare". La Galchenko accelera più volte, con strappi micidiali, ma Leontyeva e Clemente resistono. Nel finale, l’ucraina ha una crisi violenta, si ferma, poi si riprende e arriva sesta, ma deve essere portata con l’ambulanza in ospedale perché non riesce a riprendersi. Clemente a questo punto è lanciata, sorpassa la russa e va verso la vittoria, vanamente inseguita dalla cinese Mao Yanxue, che supera anche lei la Leontyeva e, sia pure con due cartellini sulle spalle, finisce a 2" dall’azzurra, davanti alla russa. Anna Clemente chiude in 22’27"38, nuovo record italiano allieve, strappato proprio alla Palmisano, che lo deteneva in 22’58"52 ottenuto ai Mondiali Under 18 di Ostrava 2007. Trenta secondi in meno, all’equatore, con un gran caldo e umidità al 100%. Ma lei non si esalta. Cosa avrebbe ottenuto in condizioni normali? "Magari lo stesso tempo, perché non ho sofferto né il caldo, né l’umidità. Mi sono allenata bene e ho vinto. Dedico l’oro al mio allenatore Tommaso Gentile e alla mia famiglia, che mi ha sempre aiutato". Ultima e notevole particolarità. Anna Clemente ha anche il record italiano di categoria sui 2000 metri di corsa e la seconda miglior prestazione di sempre sui 2000 siepi. E’ una potenziale campionessa sia nella marcia che nel mezzofondo. Ma lei cosa preferisce? "Non lo so, devo ancora scegliere". Troppa grazia!

P.S.#1 - Davvero complimenti Anna. Che questo sia solo l'inizio di una carriera splendida. Avanti così!
P.S.#2 - Alla faccia di chi crede che lo sport non sia una chiave per il compimento del proprio essere. E, soprattutto, uno schiaffo morale a chi nello sport a Laterza non ha mai investito ma solo speculato.

venerdì 20 agosto 2010

“Basta tessere e segrete stanze: così è un partito da buttare” (intervista ad Ignazio Marino, da Il Fatto Quotidiano)

"Il Partito democratico o diventa un partito contendibile o non è un Partito democratico. E a quel punto è meglio che si sciolga". Parola di Ignazio Marino, senatore Pd, che alle primarie per eleggere il segretario dei Democratici è stato il "terzo candidato".

Senatore, in un sondaggio fatto sul nostro sito, ben il 93% si è detto favorevole alle primarie per eleggere il candidato leader del centrosinistra e i candidati sindaci. Cosa ne pensa? Lei è d'accordo?

Dobbiamo insistere ancora di più sulle primarie, in un momento in cui, con questo sistema elettorale, di fatto i parlamentari sono nominati da 4 o 5 capi – partito. È una grave ferita della nostra democrazia. E per quel che riguarda i candidati sindaci delle grandi città, le consultazioni sono molto importanti, perché fanno sì che chi scende in campo prenda impegni e responsabilità con le persone che lo devono eleggere.

Ma nel suo partito non tutti sono d'accordo...

Non si tratta certo dei nostri elettori... Serve la possibilità di scegliere una classe dirigente nuova, con energie fresche.

Le primarie come sono state fatte fino ad ora, però, non hanno selezionato nessun nuovo talento, ma piuttosto sono servite a legittimare le scelte dei vertici. Penso a quelle che hanno incoronato Prodi, come a quelle vinte da Veltroni. Che senso hanno, allora?

Quelle sono proprio le primarie che non vorrei. Per esempio, io mi sono presentato candidato segretario, senza un'organizzazione, senza avere dalla mia le tessere del partito, e sono arrivato quasi al 15 per cento. Bisogna andare in quella direzione. Quanto potrà resistere la classe antica, chiusa nelle stanze del potere? Dobbiamo lavorare tutti insieme perché prenda il sopravvento la possibilità di una competizione davvero alla pari: ci sono pochi dirigenti del secolo passato che riescono a influenzare le linee del Pd. Ma le persone seguiranno chi indica percorsi trasparenti di democrazia e merito.

In realtà, anche le primarie alle quali ha partecipato lei, sono state di fatto un modo per contarsi nel partito, tra chi sosteneva Bersani e chi spingeva per Franceschini. Tanto rumore per nulla.

I cambiamenti non si fanno in una notte. Abbiamo avviato un percorso. Da noi dovrebbe funzionare un po' di più come succede in America, dove spesso è difficile immaginare chi saranno i candidati leader. Oggi in Italia ci capita spesso la stessa rosa di nomi: il paese deve essere modernizzato proprio attraverso un meccanismo che porti a superare questa fase storica.

Come?

Dando la possibilità di correre a persone che se la sentono. E poi, stabilendo un numero limitato di candidati, permettendo a ciascuno di raccogliere un numero iniziale di sostenitori e poi dando a tutti uguali risorse, opportunità e possibilità. Il meccanismo americano è quello che mi piace di più: si inizia con primarie in luoghi molto piccoli, e così anche una persona poco nota può vincere.

Facciamo un passo indietro. A cosa si riferiva parlando di "pochi dirigenti del secolo passato" che influenzano il partito?

Alla mancata trasparenza e giovinezza, che non
è una questione di età anagrafica, ma di spirito, che si è vista in molte circostanze. Per esempio, si è notato nella segreteria Bersani o nella gestione di Dario Franceschini, in occasione della scelta dei candidati al Csm. Fino alla mattina della votazione i parlamentari non conoscevano chi avrebbero scritto sulla scheda...

La rosa di nomi dei candidati alle primarie di coalizione – Bersani, Vendola, De Magistris, Chiamparino – come le sembra?

A parte Bersani e Vendola, mi sembrano più che altro dichiarazioni di intenti. Penso che Di Pietro e Vendola potrebbero ben rappresentare due realtà importanti nella sinistra, come l'Idv e Sel. Molti hanno chiesto anche a me di partecipare.

E lei come ha risposto?

Dando la mia disponibilità.

Dica la verità, è lei il candidato nascosto di D'Alema...

Non credo proprio: quando mi sono presentato alla segreteria del Pd, lui è stato vigorosamente contrario.

Paradossalmente, nel Pd molti dei sostenitori delle primarie sono quelli che vorrebbero un ritorno di Prodi. Lei cosa ne pensa?

Ho molto rispetto per Prodi. Ma credo che possiamo anche immaginare una figura che non sia stata capo del Governo o Ministro nel secolo passato.

BACK TO LATERZA...
P.S. Primarie vere e tessere vere: il Pd laertino, quello con la faccia pulita, lotta per questo...

giovedì 19 agosto 2010

La nostalgia (da L'ignoranza di Milan Kundera)

In greco “ritorno” si dice nòstos. Álgos significa “sofferenza”. La nostalgia è dunque la sofferenza provocata dal desiderio inappagato di ritornare.
Per questa nozione fondamentale la maggioranza degli europei può utilizzare una parola di origine greca (nostalgia, nostalgie), poi altre parole che hanno radici nella lingua nazionale: gli spagnolo dicono "añoranza", i portoghesi "saudade". In ciascuna lingua queste parole hanno una diversa sfumatura semantica. Spesso indicano esclusivamente la tristezza provocata dall’impossibilità di ritornare in patria. Rimpianto della propria terra. Rimpianto del paese natio. Il che, in inglese, si dice "homesickness". O in tedesco "Heimweh". In olandese: "heimwee". Ma è una riduzione spaziale di questa grande nozione. Una delle più antiche lingue europee, l’islandese, distingue i due termini: "söknudur" (“nostalgia” in senso lato); e "heimfra" (“rimpianto della propria terra”). Per questa nozione i cechi, accanto alla parola “nostalgia” presa dal greco, hanno un sostantivo tutto loro: "stesk". La più commovente frase d’amore ceca: "stỳskà se mi po tobě": “ho nostalgia di te”; “non posso sopportare il dolore della tua assenza”. In spagnolo, "añoranza" viene dal verbo "añorar" (“provare nostalgia”), che viene dal catalano "enyorar", a sua volta derivato dal latino ignorare. Alla luce di questa etimologia, la nostalgia appare come la sofferenza dell’ignoranza. Tu sei lontano, e io non so che ne è di te. Il mio paese è lontano e io non so cosa succede laggiù.
Alcune lingue hanno qualche difficoltà con la nostalgia: i francesi non possono esprimerla se non con il sostantivo di origine greca e non hanno il verbo relativo; "Je m’ennuie de toi" (“sento la tua mancanza”), ma il verbo "s’ennuyer" è debole, freddo, e comunque troppo lieve per un sentimento cosi grave. I tedeschi utilizzano di rado la parola “nostalgia” nella sua forma greca e preferiscono dire "Sehnsucht": “desiderio di ciò che è assente”; ma la Sehnsucht può applicarsi a ciò che è stato come a ciò che non è mai stato (una nuova avventura) e quindi non implica di necessità l’idea di un nòstos; per includere nella Sehnsucht l’ossessione del ritorno occorrerebbe aggiungere un complemento: Sehnsucht nach der Verganghenheit, nach der verlorenen Kindheit, nach der ersten Liebe (“desiderio del passato, dell’infanzia, del primo amore”).

lunedì 16 agosto 2010

A LATERZA IL PALLONE NON ROTOLA PIU' (di Francesco Romano, da la Gazzetta del Mezzogiorno)

Il Laterza calcio, matricola 77705, non c’è più. Cancellato. La mancata iscrizione al campionato di Seconda categoria ha prestato la mano al più inesorabile dei colpi di spugna: con il comunicato numero 8 del 10 agosto scorso, da pochi giorni in “rete” sul sito web Figc, il comitato regionale della Lega nazionale dilettanti pugliese ha proposto al presidente federale la radiazione dai ruoli della Nuova Laterza: interrotta, di fatto, una pluridecennale storia di sport e di pallone. Certo, si sapeva già. Certo, si aspettava solo il referto finale, la certificazione formale.
Ma adesso che il nero su bianco c’è, stridono, eccome, le poche righe che accompagnano, necrologio in dribbling stretto, l’irreversibile sentenza. «Visto l’art. 16 commi 1) e 2) delle Noif…»: i “richiami” a sostegno del provvedimento, freddi e asettici, scavano come bisturi in una ferita che non sanguinava già più. La lacerano con la dovizia di una notifica sottile, invadente e invasiva nello stesso tempo. Maturato nel più incredibile dei silenzi, l’epilogo non ha fatto prigionieri. Ha fatto, come si dice, piazza pulita. Solo a poche ore dalla scadenza dalla proroga concessa dalla federazione per regolarizzare l’iscrizione al campionato di competenza (dal 20 al 30 luglio), l’appello disperato di un gruppo di tifosi aveva dato voce, attraverso questo giornale, alla fine imminente e alla fiammella ancora accesa. Grido estremo e megafono di carta rimasti inascoltati, soffocati dallo stesso torpore e dalla stessa indifferenza che avevano accompagnato i giorni, grotteschi, dell’agonia invisibile. Insomma: il Laterza si è spento in lenta solitudine, e bastava un alito per ridargli fiato.
Un dato di fatto: il pallone laertino si è consumato nelle mani dell’ex sindaco Giuseppe Cristella, presidente in carica. L’ultimo presidente. Lo stesso che ne aveva accompagnato la storia sul campo, da promettente esterno sinistro poi approdato in politica: era fra gli undici titolari, Nino Inglese mister e Leonardo Clemente presidente, nello spareggio con l’Ostuni di Carbonella che, a cavallo fra il ’92 e il ‘93, sul neutro di Noci valse, ai calci di rigore, il salto in Eccellenza. Punto più alto della parabola calcistica biancazzurra (quinto posto con Rocco Sisto allenatore-giocatore e Muzio Di Venere capitano). Lo stesso che, lungo la discesa, nelle estati perennemente in crisi del pallone locale, da primo cittadino, curatore d’ufficio di affanni ad orologeria, aveva contribui to a spostare più in là il capolinea incombente. Fino al ritorno in Promozione, in momentanea risalita, con Agostino Perrone alla presidenza e Clemente Lomagistro in panchina, sull’erba artificiale del Madonna delle Grazie appena inaugurata: di un biancazzurro incredibile il colpo d’occhio sugli spalti del nuovissimo stadio nel match con il Polignano che, stagione 2004-05, decideva il primato in Prima Categoria. Finì 0-0, il Laterza bistrattato arrivò secondo , ma, nell’anno di Chiruzzi e Gagliardi, fu comunque Promozione per ripescaggio. Dopo due campionati da "calcio estremo" (salvezza ai playout: un capolavoro quella conquistata nel secondo da Franco Danza, con Giuseppe Bongermino presidente), si tornò a scendere, fra un pellegrinaggio e l’altro in municipio: Prima categoria nel 2008-09, in Seconda la stagione scorsa: salvezza diretta firmata dalla guida tecnica di Gianvito Salluce e, appunto, dalla presidenza di Giuseppe Cristella.
Il resto è cronaca che la storia interrompe, a sorpresa, senza preavviso, alla radice: la Nuova Laterza, già Us Laterza, compare nell’esiguo elenco delle società inattive. Da radiare: alle ortiche anche l’anzianità federale e il numero di matricola. Il pallone che verrà, se verrà, dovrà cominciare a rotolare da zero.

P.S. La bolla del cristellismo si sta dissolvendo. Occorre agire perché questo avvenga subito...

giovedì 12 agosto 2010

Vi racconto una storia. Anzi due. Facciamo tre.

Era il 23 giugno 1969 e, con una tiratura di 55000, esce il primo numero de il Manifesto. La rivista assume posizioni in contrasto con la linea maggioritaria del P.C.I. che ne chiede la sospensione delle pubblicazioni. Il Comitato centrale del partito, il 25 novembre 1969, delibera0la radiazione per Rossana Rossanda, Luigi Pintor e Aldo Natoli con l'accusa di "frazionismo". Successivamente viene adottato un provvedimento amministrativo per Lucio Magri e non vengono rinnovate le iscrizioni per Massimo Caprara, Valentino Parlato e Luciana Castellina. Tutto questo per aver detto che l'invasione russa della Cecoslovacchia era un "tragico evento" e per aver sostenuto pensieri critici rispetto alla linea di partito.
Le epurazioni sono, purtroppo, sempre esistite (si veda lo strano caso del presidente Fini). A destra e a sinistra.
Bene lunedì sera non ho subito un epurazione. Ma ho subito un processo sommario per delle mie affermazioni apparse sul Corriere del Giorno. Affermavo questo: "Esiste un Pd di riciclati che gioca con più mazzi di carte e un Pd di persone che vogliono impegnarsi per la città. Bisogna battere strade nuove, far propria la lezione di Vendola: cerco volti non voti, sapendo che chi vuole impegnarsi fa paura ai pesci grossi. Coi partiti si può dialogare e questi devono avere la forza di contaminarsi con i movimenti civici".
Per quest'esternazione è stata chiesta la pubblica rettifica (a seguito di una piccola riunione inquisitoria che mi ha messo in grave soggezione perchè ero attorniato da gente più anziana di me e verso la quale, per buona educazione, non osavo rispondere con "toni alti") perché, quanto da me detto, cozza con le decisioni che il partito a preso. Almeno così la pensavano i probiviri laertini.
Non l'ho fatta per alcune e precise ragioni. Eccole:
1- perché credo in quello che ho detto. E averlo detto non va in conflitto con il lavoro del partito. Io stesso, tra le pagine di questo blog, ho difeso il lavoro degli otto "saggi" (ne ho fatto anche parte, trall'altro). Ho difeso e difendo il diritto del partito a darsi dei metodi. Ho difeso e difenderò le primarie. Quelle vere. Giocate con mezzi legali e culturali,i soli che la politica dovrebbe avere. Ed è in tal senso che vanno le mie dichiarazioni...
2- perché un partito dovrebbe garantire il diritto dei suoi iscritti ad avere un altro punto di vista,
3- perché un partito non esegue processi sommarii. E non lo fa se non sono presenti i suoi dirigenti al completo. E, tanto meno, se non si è nei luoghi preposti alla politica (ovvero la sede istituzionale dell'associazione politica).
Queste sono le ragioni per le quali, secondo me, non meritavo il trattamento riservatomi.
Tengo molto al partito e le mie (tanto criticate) parole, se ben lette, lo dimostrano. Non permetterei mai che a casa mia (ovvero nel mio partito) si manifestino attività che hanno poco a che fare con la politica. Ritengo il Pd, ormai, casa mia e, a casa mia, cerco sempre di fare più pulizia che posso.
E ora che succede? Ah io non lo so. D'altronde non sono io quello che non ama chi dissente...
Allora attenderò. Ai probiviri la parola.

P.S.#1 - Intanto però Michele Cristella, sul Corriere del Giorno di ieri, riporta i fatti in forma anonima. E dice: "[...]il Pd patisce un certo nervosismo e per uscire dalla sua crisi di identità allestisce un processo a un proprio iscritto, giovanissimo, che ha osato l’eresia, cioè fare autocritica, manifestare il proprio dissenso.
Che cos’è infezione berlusconiana, dopo il processo in contumacia a Fini, o rigurgiti staliniani, chiusisi in Italia con l’espulsione di quei del Manifesto? E’ stato piuttosto un processo kafkiano, contraddistinto dall’impossibilità della reazione, perché il processato, alla sua prima volta poiché giovanissimo, e per propria educazione avendo di fronte “giudici” dell’età di suo padre, non ha saputo adoperare alcuno strumento di difesa, dal non presentarsi, al processare egli quei tardivi “inquisitori”, al mandarli al diavolo, all’esibire loro l’art. 21 della Costituzione, quello della libertà di parola, al dir loro che dove è vietata la critica si è già in decadenza, di cose e animi.
Un episodio del genere è un sintomo di profondo malessere ed è una indiscutibile ragione di urgente e radicale rinnovamento
[...]"

P.S.#2 - Anche su facebook si parla dell'accaduto (ecco il link). Ringrazio da queste pagine i molti amici, conoscenti e concittadini che mi hanno espresso solidarietà in queste ore che, devo ammetterlo, non sono state facili. Ai miei più cari amici (di politica e di vita, che poi per me sono la stessa cosa), alla mia famiglia e, last but not least, alla mia ragazza va il mio più sentito ringraziamento per avermi aiutato a superare al meglio questo vero e proprio shock che, ne sono sicuro, mi aiuterà a crescere.

mercoledì 4 agosto 2010

PDL ALLA PROVA FINALE: CUANDO CALIENDO(!) EL SOL

Torno dopo qualche giorno di "stop al PC" e mi ritrovo a dover descrivere la situazione interna al PdL.
Comunque la si veda, il deferimento ai probiviri dei finiani è comunque cosa incresciosa. Perché il male, nel PdL come nella nazione, c'è e si vede benissimo. Eppure il male deve restare e chi lo combatte deve, invece, ridimensionarsi oppure tornare a casa a sorseggiare una bella granita.
Non mi interrogherò qui sulla sincerità di questi semi-epurati (il Giornale, invece, lo fa bene...anzi benissimo), ma molto di più sulla tenuta etica (più che di quella parlamentare) del governo e della nazione.
Basti pensare che, pochi giorni prima del deferimento dei finiani, Verdini organizza una conferenza stampa in fretta e furia per dissertare sul nulla della sua coscienza, scansando al contempo ogni pallottola riguardante il suo coinvolgimento nella P3.
E poi arrivò il resto: deferimento dei finiani ai probiviri (ecco chi sono...perché "Probi viri nulla mendacia dicunt"), la durissima conferenza stampa di Gianfranco Fini e la nascita dei gruppi parlamentari di Futuro e Libertà per l'Italia.
E dopo la prima riunione (ecco tutte le foto, per voi guardoni!) tutti si chiedono: e mo che faranno questi? Per ora non lo sanno. Ma ci faranno sapere presto, dicono.

P.S.#1 - Intanto chi parla di immoralità del governo non fa certo una bella fine (o Fini, che dir si voglia).
P.S.#2 - E la penna di Ceccarelli colpisce ancora paragonando questi gironi del PdL a gli ultimi momenti scollacciati di Pompei. Pezzo da incornciare (insieme alle foto che tanto ci piace guardare).

Il Caligola "assurdo" di Albert Camus


Potere assoluto è chiedere a un popolo di credere, per il solo comando del proprio imperatore, che l’impossibile non sia tale. Che la luna possa stare nel cielo o nella sua mano, indifferentemente. Ma il potere non è mai abbastanza assoluto, la luna resta appesa nel firmamento. E chi muore rimane morto: il segreto non si svela, l’assurdo resta assurdo. Spingerlo “alle estreme conseguenze” non serve ad altro che condannarsi a finire, diventare radicalmente incapaci di vivere.

Sono forse questi i messaggi principali del Caligola riscritto in forma teatrale da Albert Camus nel 1941, in un mondo che sta per spingere davvero l’insensatezza al cuore della realtà. La vicenda, è noto, racconta gli ultimi giorni dell’imperatore, che in lutto per la perdita dell’amata smarrisce il senno e inizia a disporre delle vite umane e del mondo che lo circonda a suo completo piacimento, fino a causare una congiura che lo ucciderà. Ma è solo un pretesto: in poco più di sessanta pagine, infatti, le epoche svaniscono e si fondono, e una trama scarna, essenziale perde ogni ambizione narrativa per diventare puro distillato di pensiero.

Anche se la tentazione di una lettura storica, in particolare in riferimento all’epoca dei totalitarismi, è forte: ci sono il terrore dei figli e dei padri mandati a morte senza motivo, la cultura del sospetto, l’utilizzo della violenza sessuale come passatempo e il disprezzo delle masse elevato a unica fonte di serenità. C’è l’idea orwelliana che la schiavitù sia libertà riletta attraverso il mito dell’esecuzione liberatrice. C’è la colpevolezza oggettiva, che in Hitler era dell’ebreo e in Caligola dei sudditi in quanto sudditi. Una mistica della morte arbitraria, dunque, della libertà come accettazione di un dominio irrefrenabile, che si spinge fino all’obbedienza anche nel momento in cui venga oltraggiata la moglie davanti agli occhi, o sterminata la propria famiglia. Anche in questi casi, la libertà del suddito è di sorridere o morire.

Eppure la vera vicenda resta tutta interna alla mente di Caligola, il vero cardine non è politico ma esistenziale. Così che il mondo dell’imperatore diviene insensato quando è la sua esistenza, senza Drusilla, a divenire insensata. E il “mostro” attraverso l’esercizio di un potere sanguinario, in cui “la poesia provoca l’azione e il sogno la realizza”, scopre solamente se stesso, non il dolore altrui. Ciò che gli rimarrà sempre precluso, infatti, è proprio quella capacità di amare per cui inizialmente si condannava.

Ecco, la pratica del male lascia Caligola con una terribile certezza, che gli impedisce di continuare a esistere: anche il dolore per la morte di Drusilla era soltanto un “alibi”. Un modo per celare che Caligola è solo un uomo incapace di empatia e, dunque, di eternità. Perché ciò che realmente ossessiona l’imperatore è la fugacità del tutto, che associa immediatamente – e senza scampo – a una indefinibile mancanza di senso. Non sono né l’amore né l’odio, ma l’insicurezza a ucciderlo. La stessa che armerà la mano dei suoi carnefici. Per questo “Drusilla vecchia sarebbe peggio di Drusilla morta”: perché quella vecchiaia avrebbe rivelato che perfino quello che credeva “troppo amore” non era che menzogna, desiderio di piacere carnale. O meglio, una conferma che l’impossibile è davvero impossibile. Chi non è in grado di accettare questa semplice identità – ammonisce Camus per questa ed ogni epoca – è destinato a ricoprire di sangue il suo cammino e, se gliene viene data l’opportunità, quello del mondo intero.