martedì 29 giugno 2010

E l'Italia che va. Ma non torna il sereno...

Pena ridotta per lui. Pene "pesanti" per noi. E l'Italia che va. Ma non torna il sereno...
P.S. Ma Mangano, per loro, resta un eroe...

FENOMENOLOGIA (INCOMPIUTA) DI UN EX LAERTINO

Non mi piace parlare di chi non c'è più. Perché Lui qui, a Laterza, non c'è più. Se n'è andato. Ma è sempre lo stesso: spara numeri e parole (salvo poi fare figure barbine con quell'uomo che gli regala un pallottoliere). E, come al solito, dimostra la gentilezza e il portamento di un Lord inglese (le ripetute aggressioni a suoi concittadini "rei" di non pensarla come lui, ne sono un esempio lampante).
E' difficile scrivere la fenomenologia di un "genio" come lui. Perché di "genii" ce ne sono tanti. Ma lui è speciale: è un "genio" capace di strategie di alta (ma bassissima) politica. Quindi attenzione a quest'uomo dalle mille risorse..
Si narra, infatti, di un centro-destra diviso. A me non interessa, francamente.
Ma direi che finché c'è Lui, il Deus ex machina del fornello pronto, tutto può accadere. E sarebbe plausibile un loro ricompattamento. Lo spiega Freud! Che, in primo luogo, attribuisce il vero e proprio momento della formazione del gruppo, così come la continuativa funzione ed esistenza del gruppo, alla presenza della leadership. Senza l'avvento del leader, il gruppo non potrebbe esistere, e il processo sociale subirebbe un brusco arresto. Freud attinge all'orda primaria come al costituente primitivo del gruppo: "Il capo della massa è ancor sempre il temuto padre primigenio, la massa continua a voler essere dominata da una violenza senza confini, è sempre sommamente avida di autorità, ha […] sete di sottomissione" (Freud, Psicologia delle masse ed analisi dell'Io, 1921, p.315). La visione che Freud ha dell'autorità è verticale, e deriva dal rapporto di un bambino col padre: l'autorità proviene da sopra, ed è agognata da sotto. Egli non sembra avere alcuna nozione di un'autorizzazione orizzontale da parte dei pari. E forse solo questo potrà dividerli. la fame della massa, del gruppo sottostante e sottacente.
Ma questa è, secondo me, un'altra storia. Perché, anzitutto, occorre "conoscere noi stessi" a sinistra e capire cosa vogliamo fare da grandi. E in questo Socrate non lo batte nessuno...

P.S. Un giorno, lo prometto solennemente, porterò avanti il progetto (difficilissimo) di una fenomenologia di Lui. Ma forse no. Ho altro da fare...

lunedì 28 giugno 2010

Rinnovamento. Variazioni sul tema.

"Alternativa" (nascita di qualcosa di diverso) e "Rinnovamento" (cambiamento radicale) non sono la stessa cosa. Ma poco ci manca. Ma entrambi si richiamano. Hanno, a mio modo di vedere, una relazione includente. Formano dunque un circolo virtuoso. Facce nuove e idee nuove sono criteri di ripartenza. "Contenitori" e "contenuti" non sono divisi, affatto. Una persona incarna un idea. Perchè non tutte le idee vanno bene su/per tutte le persone.
Variazioni sul tema di Luca Sofri e Francesca Santolini.

domenica 27 giugno 2010

MULTICULTURALISMO E RINNOVAMENTO: IL CALCIO INSEGNA ANCHE VALORI POSITIVI

Germania show. E l'Inghilterra soccombe, recriminando per un goal grande come una palazzina di Manhattan (a proposito, ma la Storia si è vendicata? ).
Eppure, nonostante tutto, ha vinto la squadra che ha giocato bene a calcio. E che calcio! Per dirla tutta, la Germania ha per la prima volta un gioco degno di esser chiamato tale. Rapidità e fluidità conservando la solita fisicità teutonica.
Essenzialmente, il perché di tutto ciò sono due: 1) investimenti sui giovani di belle speranze [questa è la Germania più giovane dal 1934] e 2) un multiculturalismo diffuso e ben implementato.
Se prima i calciatori potevano chiamarsi Lothar, Franz, Jurgen, Gerd o Karl, adesso si diffondono a macchia d'olio i Serdar, i Mesut, i Jerome, i Jeronimo, i Piotr e i Dennis. Una Germania (calcistica e non) fatta di (giovanissimi) ragazzi turchi, ghanesi, brasiliani, polacchi di seconda generazione (tutti nati in suolo tedesco, specialmente nella zona industriale per eccellenza, la Ruhr).
Segno che il multiculturalismo non produce solo ladri e stupratori (vaglielo a spiegare ai leghisti!). E segno, tra l'altro, che dove si da spazio ai giovani non si finisce sempre gambe all'aria (calcisticamente e non).
Ma questo vaglielo a spiegare agli italiani...

Minima moralia (L'avanspettacolo italiano in tre atti)

ATTO I
BRANCHER: Vengo anch'io!
BERLUSCONI: Si, tu si...
BRANCHER: Vengo qui, ma non vado lì! Perché, sai, non posso proprio...
BERLUSCONI: E va ben...

ATTO II
IL PRESIDENTE NAPOLITANO: Vacci ora!
BRANCHER: No,io no...
L'OPPOSIZIONE (in "Tutti insieme appassionatamente...per questa volta"): Ma perché?
BRANCHER: Perché no!

ATTO III:
IL PM EUGENIO FUSCO: Vieni ora, senza se e senza ma!
BRANCHER: No, io no...
BERLUSCONI: Vacci te, che altrimenti scoppia tutto!
BRANCHER: Si, ci vado. Ma poi vedo il da farsi...

L'operetta continua, ovviamente. Ma la morale è già scritta: la giustizia è sempre più un optional in omaggio con la propria elezione. Perchè noi, in Italia, facciamo così. Checche ne dica Pericle....

Ustica: il cimitero della verità

Ogni anno questa storia si arricchisce di un tassello. Tassello ogni volta più inutile in questo sterminato puzzle. Ustica, la strage indefinita nel Paese delle mille verità...

venerdì 25 giugno 2010

CURIOSITY KILLED THE BAD (ovvero come il marcio viene, letteralmente, a galla)

Amici, visto che dai tg non potrete sapere questa notizia, leggete tutto da questo link dal sito de L'Espresso. E, siccome è sempre bene vedere per credere, guardate qui con i vostri occhi quest'autentico scempio ambientale. La Maddalena non è stata mai bonificata. Sia lode a B. & B. (che non sta per Bed&Breakfast, ma per...?).

COTTO E MANGIATO (PUR SE POCO SANO)

Tra sospetti di pazzia bovina e lumache alla diossina, la cucina pugliese subisce un duro colpo.
Ma l'evento, seppur grave per vari motivi, forse può far riflettere i teorici della tecnica senza limiti e gli imprenditori senza scrupoli. Il mondo naturale, infatti, è il primo terreno di riscontro dei cambiamenti biosferici. Non sarà che, con questi segnali piuttosto forti, la natura ci vuole richiamare tutti ad una responsabilità critica e forte in materia ambientale? Credo proprio che un pensierino bisognerebbe farlo.

P.S. A tal proposito vi suggerisco la lettura de Il principio responsabilità di Hans Jonas (e, per chi non ha abbastanza tempo, può andar bene questa sintesi)

GLI ESAMI NON FINISCONO MAI

Tra esami di maturità scolastica, esami universitari (per studenti discriminati) e esami di "maturità sanitaria", se ne va un mese di Giugno particolarmente instabile meteorologicamente e politicamente (in Italia e anche in Puglia).
La brezza che ci sta raffreddando in questi giorni sembra portare anche buone novità: da un PD laertino che forse cominica a decidere (sarà la volta buona del "rinnovamento"? lo spero e ci credo) all'associazionismo che, forse per la prima volta, sembra riprendere quota nella ridente cittadina dell'impero delle destre da fornello pronto.
A livello regionale, la trasparenza dei concorsi per occupare le poltrone delle direzioni delle sei aziende sanitarie pugliesi sembra dare maggior peso all'operato della sinistra regionale.
E, intanto, chi vi scrive, nonostante il vento d'estate, non va al mare... checchè ne dicano Max Gazzè e Niccolò Fabi!

giovedì 24 giugno 2010

L'IMU...RTACCI

La tassa che non è una tassa. Si chiamerà Imu (Imposta municipale unica), annuncia Tremonti auspicando così il "ritorno ai Comuni del potere fiscale nel loro comparto naturale di competenza: immobiliare e territoriale". Ma allora non è altro che il ritorno, sotto mentite spoglie, dell'Ici? No. Presumibilmente sarà un accorpamento di imposte che oggi sono separate.
Ma non è che, per grazia divina, anche B. comprende che senza moneta non si vede il cammello. E ora batte cassa? E magari lo fa reintroducendo una tassa da lui appena tolta? Vedremo...

Pomigliano d'Arco. Senza Giovanna...

Triplice fischio a Pomigliano. Vince, come previsto il "sì". Ma ora? Ora avanti con gli investimenti. Eppure, a mio avviso, andavan tenuti d'occhio i diritti dei lavoratori.
Ma in definitiva, il caos di Pomigliano è stato il frutto di anni di errori da parte di tutti (dall'azienda FIAT ai sindacati conniventi con il malaffare). Errori pesanti come l'aver permesso tutto e il contrario di tutto a chiunque lo volesse (si veda l'assentesimo ingiustificato dalla fabbrica e gli allontanamenti dal posto di lavoro). A pagare quindi sono tutti (i bravissimi operai che darebbero la vita per il loro lavoro) per colpa di pochi fannulloni abituati ad essere comunque sempre attacati all'albero della cuccagna.
Ergo, prima di puntare il dito contro gli altri..guardiamoci tutti un po' dentro. Male non ci farebbe...

P.S. Sia ben chiaro, la mia piena solidarietà va a quegli operai onesti che ora faranno i conti con ritmi (e orari) di lavoro quasi del tutto umanamente insostenibili. Sempre per colpa del malaffare...

mercoledì 23 giugno 2010

Maturità: il tema sui giovani e la politica lo scriviamo noi (di Morris Gasparri)

Google Analytics per chi gestisce un sito come il nostro è una droga potentissima. In tempo reale si ha accesso a tutta una serie di informazioni attraverso le quali è possibile ricostruire gli accadimenti della cronaca politica anche senza far ricorso alle agenzie o ai siti dei grandi quotidiani. Ad esempio ieri, consultandolo verso le quattordici, sono sobbalzato nel notare un numero elevato di visitatori arrivati al sito googlando “giovani e politica”, “giovani e politica nella storia”, e frasi simili. Ovvio, c’era qualcosa sotto, scoperto subito dopo, ovvero la traccia del tema della maturità intitolata proprio “I giovani e la politica nella storia”.

Certo, è una notizia minima, ma per noi significativa. Di giovani scriviamo spesso, gli articoli sulla “questione generazionale” sono tra i più letti, e quelli che solitamente fanno incetta dei “mi piace” facebookiani. Quindi l’effetto di sentirsi dei piccoli pandit generazionali c’è, non lo neghiamo, anzi lo rivendichiamo tra le finalità strategiche del nostro impegno collettivo. Facciamo un giochino ulteriore. Cosa avremmo risposto ad un giovane maturando che ci avesse chiesto consigli su cosa scrivere in questo tema?

La risposta è immediata: i giovani devono occuparsi del potere. Cos’è, come si prende, come si esercita, chi lo detiene, per quali finalità lo si detiene, come si giudica e critica chi lo detiene (beninteso, un’idea moderna del potere, diffusa, non concentrata in un unico punto “sovrano”). E’ questo il motivo per cui al Ministero avrebbero dovuto mettere nella traccia prima indicata la lucida provocazione di Raffaele Mauro, al posto degli appelli ai giovani di Aldo Moro o di Papa Woytyla, che letti oggi, con tutto il rispetto per due grandi personaggi del secolo scorso, somigliano a delle pappe per il cuore. Come sono pappe per il cuore, per venire a degli esempi più recenti, i discorsi ad alto rischio zuccherosità di Fini sui giovani “nati-dopo” e sulla generazione-Balotelli, che oltretutto ieri se n’è fregato di questa traccia e ha scelto il tema sulla musica, o le attenzioni premurose del ministro Gelmini che ha dichiarato che lei avrebbe scelto proprio questa traccia.

Perchè prendersela così tanto con le pappe per il cuore, a rischio di toccare dei miti sacri di ieri? Perchè le pappe per il cuore sono un ostacolo alla comprensione della realtà. Siamo passati nell’arco di un trentennio da una condizione in cui i giovani avevano potere ed occupavano la scena pubblica con le loro rivendicazioni, giuste o sbagliate che fossero, ad un’altra in cui i giovani come entità collettiva hanno un potere vicino allo zero, a fronte di condizioni di svantaggio crescenti, demografiche ed economiche. Ecco perchè la categoria “giovani” in politica non esiste in quanto tale, ma va declinata e contestualizzata storicamente. Come se ne esce? Appunto, solo occupandoci dei modi in cui il potere viene esercitato e le risorse distribuite all’interno di una società, il che significa far emergere i giovani come categoria, come centro di interessi. Tre considerazioni per il raggiungimento di questo difficile obiettivo:

1) Abbiamo mezzi molto più potenti per coordinare azioni collettive rispetto ad ogni altra epoca storica, e mai le rivendicazioni generazionali sono state più basse. Il connubio rete-politica non può quindi essere solo quello individualistico del mercato politico e delle campagne elettorali. La rete deve anche aggregare progetti di cambiamento collettivi, e solo quando nascerà qualcosa di concreto su questo fronte potremo salutare la “generazione web” come motore di innovazione politica e sociale. Alcune speranze in questa direzione esistono, ad esempio il successo di un progetto come La Repubblica degli Stagisti, a patto però che non rimangano progetti isolati nell’arcipelago della Rete e che si traducano in un qualcosa di ulteriore rispetto al mero collettore di testimonianze.

2) Un grande problema della questione generazionale sono gli steccati ideologici.Per chi ha meno di trent’anni l’Italia sta diventando una Repubblica fondata sul neo-schiavismo degli stage? Se il problema è endemico, è ovvio che la soluzione di uscita non è la speranza individuale di farcela, e degli altri stagisti a vita chissenefrega. La soluzione semmai sta a livello legislativo. Fare figli nel sistema di welfare attuale significa per una giovane ragazza italiana essere un’eroina, come ricordava con passione la nostra Caterina Pikiz al termine di questo dibattito? Idem. Ma le leggi spesso nascono sulla base delle pressioni e delle rivendicazioni, non per parto spontaneo. Qui c’è il punto. Molti giovani ad esempio si sono mobilitati con il “popolo viola”, è un dato sociologicamente rilevante rispetto alla tendenza al distacco dalla mobilitazione collettiva prima citata. Ma se la polarizzazione della rabbia verso obiettivi totemici portasse però alla divisione delle forze? Uno stagista di destra ed uno antiberlusconiano dovrebbero incontrarsi e parlarsi, invece di marciare divisi. Irene Tinagli è di destra o di sinistra? Poco importa, è una testa pensante che può aiutare a fare da detonatore di idee importanti sul terreno politico in materia di giovani e mercato del lavoro, ed è per questo che deve diventare un riferimento generazionale, come da tempo sosteniamo. Ancora, Francesca Santolini non è sicuramente di destra, ma la sua battaglia contro le degenerazioni della politica locale non riguarda certo solo i giovani di sinistra.

3) Per finire, e per tornare nuovamente alle suggestioni dell’articolo di Raffaele Mauro, è difficile fare una rivoluzione se non si conoscono i “nemici”. I giovani italiani sanno davvero molto poco su chi siano le élite, come si formino le nomine, quali siano i curricula dei “potenti” etc. E’ un derivato del fatto che ci sia un appiattimento di conoscenze storiche. Anche qui c’è una contraddizione. La Rete fornisce il più grande archivio della storia dell’umanità, Wikipedia è sempre lì pronta a correre in soccorso con le sue biografie, e nessun giovane italiano sa ad esempio chi siano Francesco Paolo Fulci, Bruno Ermolli o Corrado Passera. Ancora, il problema dello squilibrio pensionistico origina negli anni ‘80, ma i giovani non sanno granchè di queste materie decisive per il loro (nostro) futuro. Su questo, come su molti altri fronti, occorrerà rimediare.

P.S. I perchè di un rinnovamento lento ad arrivare sono tutti qui. La politica e i giovani. un matrimonio che non sa da fare?
Bellissimo pezzo di Morris Gasparri. E' vero. solo la conoscenza ci libererà!

Federati e foderati: la politica della forma informe

Il Post oggi dà ampia rilevanza alla proposta di un Pd federato.
Sembra, infatti, che l'argomento chiampariniano stia tornando in auge...vista la proposta arriva questa volta dal sud, nella fattispecie dal senatore Lumia e dal capogruppo in Consiglio Regionale siciliano, Cracolici.
La proposta sembra ricalcare quella avanzata non più di tre mesi fa dal sindaco di Torino, e potrebbe essere un buon punto di partenza per intercettare il disorientamento dei democratici.
Cacciari, ex sindaco piddino di Venezia, non la vede così. Anzi, attacca duramente il partito. E non ha tutti i torti...
E anche Civati dissente...

P.S. Il problema di questo dibattito? Semplice: i vertici continuano a cantarsela e a suonarsela da soli. Noi, in periferia, continuiamo a lavorare ma, inevitabilmente, finiamo nello stesso calderone di questi incompetenti...

martedì 22 giugno 2010

CONATUS SESE SERVANDI (scritto da me un anno fa, ma non per questo meno attuale)


Anzitutto cos'è il "conatus sese servandi"? Per chi non ha familiarità (e nemmeno remote reminiscenze) con la lingua latina, la traduzione tout court di questa perifrasi è "impulso di autoconservazione". Adesso credo (e spero) che le persone spaventate dal titolo latineggiante possano pacificare i loro animi.
Sfogliando i manuali di antropologia filosofica e scandagliando qua e la tra le ricerche di Sigmund Freud e Charles Darwin si comprende come questo impulso sia fondamentale per l'uomo in quanto solo grazie ad esso l'umanità ha potuto avere un futuro. Il suddetto "conatus" inerisce la parte egoistica dell'uomo che ai primordi della vita sulla Terra ha potuto soddisfare le proprie pulsioni primarie. Lo scontro filosofico - antropologico su questo discorso è stato ampio e pieno di tesi (spesso) contrastanti fra loro (si veda Hobbes e il suo "stato di natura in perenne conflitto" contro l'ipotesi rousseauiana di una "naturale asocialità dell'uomo che, per questo, viveva beato in natura" per poi arrivare all'antropologia tedesca di inizio 900). Se queste tesi hanno (quasi) completato l'analisi di questo tema a livello antropologico, nulla è stato detto di questo impulso a livello politico (anche perché l'autoconservazione in politica è maturata solo negli ultimi cinquant'anni). Allora è cosa giusta studiare (o almeno iniziare a farlo) questo fenomeno che si sta radicando in silenzio nei costumi socio-politici planetari.
Come e perché nasce? Quanto è radicato? E' possibile un cambiamento? Domande interessanti alle quali cercherò di dare risposte perlomeno adeguate.

Alla prima domanda - ovvero sui motivi della nascita - credo sia semplice rispondere. Questo malcostume, infatti, è nato con gli agi e i lussi che il potere porta e comporta. Quello cha accade nei politici oggigiorno non è molto differente da ciò che Rousseau immaginava essere accaduto agli uomini primitivi che un giorno "s'accorsero che era utile a uno solo avere provviste per due" e, fatto ciò, da allora lottarono per quel surplus inutile che "da eccezione divenne regola". Ma ciò è accaduto sempre e purtroppo sarà per sempre. Basti pensare che negli anni 60 avere la TV in casa era un lusso di pochi, ora invece non sapremmo vivere senza. Il lusso, la ricchezza e l'ozio si istallano e sempre più si solidificano nelle mentalità fino a diventare parti costitutive della nostra vita. E - ahimè - la politica non è certo immune da questo vizio!
Anzi per completezza di ragionamento, in politica questo impulso egoistico è ben più forte perché il radicarsi di un vizio è strettamente connesso al potere e ai privilegi che questo comporta!
Ed è noto, grazie alle ricerche presenti ne "La Casta" e "La Deriva" degli ottimi Rizzo e Stella e alle indagini di Marco Travaglio, Peter Gomez ed Elio Veltri, cosa significa fare politica (soprattutto ad alto livello...ma anche "in basso" non si scherza!) in termini di guadagno personale.
Questo spiega perché a tutti i livelli non mancano mai uomini disposti a tutto pur di non mollare la poltrona! E questo si badi bene mortifica tutte quelle energie nuove, ricche (di idee!) e impetuose che potrebbero veramente cambiare la società! Ma il "conatus" è forte...d'altronde come non capirlo dopo che s’è ingolosito tanto nelle stanze dei bottoni!!!
All’ultima domanda rispondere sarà più complesso se non altro perché il dibattito è ancora apertissimo. A mio avviso, le risposte però dovranno avere una radice comune: il Rinnovamento.
I ragazzi (me compreso) devono avere il coraggio di capire che se la politica è “sporca”, “vecchia” e “lontana dalla gente”…non è detto che lo debba essere in eterno!

In ultima analisi è facile comprendere che il “conatus sese servandi” è il principio che regge il Mondo del nostro tempo, il tempo dell’Individualismo. Tempo orrendo il nostro nel quale “conta solo il proprio Ego e l’altro (in tutte le sue forme) e il futuro (visto sempre più come minaccia) scompaiono dal panorama della moralità” – per citare il filosofo Gilles Lipovetsky.
Ma anche se orrendo, questo è il NOSTRO tempo e perciò tocca a noi gestirlo al meglio.
Ecco allora che si palesa la sfida millenaria dell’uomo: saper sfruttare/leggere al meglio il proprio tempo per il bene di tutti.

domenica 20 giugno 2010

Zitti, che i cinesi costano meno (di Eugenio Scalfari, da L'Espresso)

Sacconi. Il ministro del Lavoro Sacconi. Anzi il ministro del Welfare e del Lavoro Maurizio Sacconi. Ex socialista. Di sinistra. Lombardiano come Cicchitto. Poi craxiano. Cicchitto, craxiano mai, però iscritto alla P2. Sacconi no, alla P2 no o almeno non risulta. Però ateo. Ma da tre o quattro anni in cerca. Poi in dubbio. Poi quasi in vista. Infine dal 2008 convertito, uomo di fede. Come Bondi. Cicchitto invece no, la fede no. Brunetta, ex socialista anche lui, non si sa ma si tende a credere che non sia in cerca e quindi non trova. Tremonti, anche lui un passato socialista pare l'abbia avuto.
O forse socialdemocratico, tipo Tanassi. Lui sempre in cerca. Ieri oggi domani. La fede però sì: Dio, Patria, Famiglia. Lo Stato? Poco. La politica? Moltissimo. La politica deve comandare. Anche Sacconi su quel punto è d'accordo: la politica sì, lo Stato no. Del resto anche Carlo Marx: tanta politica, tanta rivoluzione, per abolire lo Stato. Uomini duri e puri. Marx però Patria e Famiglia poco anzi niente.

Sacconi e Tremonti, Tremonti e Sacconi, un tandem perfetto. Prego passi lei. Ma vuole scherzare? Prima lei. Lei traccia il solco, io mi limito a difenderlo. Troppo gentile, però non si strapazzi. Per carità, è un piacere e un dovere. Il capo comunque è Berlusconi. E ci mancherebbe! Su questo concordano anche Gasparri e Quagliariello. Basta.

L'ultima uscita di Sacconi avviene a Santa Margherita Ligure, convegno dei giovani industriali, padrona di casa Federica Guidi. I Guidi di Bologna. Parenti di San Guido? No, quello sta a Bolgheri in duplice filar. La Guidi di Bologna vuole cambiare la Costituzione nel punto che vieta di sottoporre al referendum abrogativo le leggi fiscali. Emma Marcegaglia dice no, è una dissennata sciocchezza, mica si possono abolire le tasse col referendum! Ma la Guidi insiste. Una provocazione. Come la pensa Sacconi?
Ecco che arriva Sacconi. Sale sul palco. Di ben tutta la possa egli soverchia, con quel che segue. Tremonti ancora non c'è ma è già stato avvistato tra Portofino e Rapallo. Viene per annunciare l'abolizione dell'articolo 41 della Costituzione. Standing ovation dei giovani.
Sulla provocazione della Guidi, Sacconi non si pronuncia, ha altro da fare. Infatti sta preparando l'abolizione dello Statuto dei lavoratori. Lo sostituirà con lo Statuto dei lavori. Un refuso? Macché, avete capito bene: dei lavori. Forse al singolare: del lavoro. Che testoni: al plurale, dei lavori, i lavori sono tanti. Anche i lavoratori. Sì, ma stanno diminuendo ed è un bene che sia così: diminuiscono i lavoratori, aumenta la produttività. Assiomatico. Moderno. Soprattutto moderno. Applausi in sala, standing ovation. Sapete che vi dico? Aboliamo anche il contratto nazionale. Addirittura? Marcegaglia: "Sì, ma....". Sacconi: "Senza se e senza ma". Marcegaglia: "Vede, serve alle Pim". Sacconi: "Lei mi è simpatica, ma almeno alleggeriamolo." Applausi convinti. "Servirà solo per la manutenzione", standing ovation.

L'evento è quello di Pomigliano. Marchionne riporta la Panda in Patria, cinquemila operai italiani, ma in cambio niente più orari, niente più riposi, lavoro flessibile, prendere o lasciare. Hanno accettato felici. Bonanni: "Non è un ricatto". E chi l'ha mai pensato? Marchionne però vuole il referendum e vuole che anche la Fiom sia d'accordo. Sacconi della Fiom se ne frega. E poi l'evento di Pomigliano è un caso particolare. Eccezionale. Comunque siamo per il contratto aziendale. Caso per caso. Produttività. Lavorare di più, guadagnare di meno. Ma non ci staranno. Invece ci staranno. Ci vorranno i carabinieri. Ma quali carabinieri? Basterà dire la verità: o così oppure delocalizziamo. Spostiamo la produzione in Cina, o in Corea, magari in Indonesia. Ma vorremmo favorirvi, voi delle tante Pomigliano d'Italia. Però mangiate questa minestra perché i cinesi costano molto meno di voi.
È la modernità, bellezza. Vengo anch'io? No, tu no.

P.S. Un altro maestro ci illustra con una punta di triste ironia lo "stupro" che si sta consumando ai danni dei lavoratori. Tra applausi e standing ovation...
E' difficile difendersi da questo gravissimo attacco. Ma almeno proviamoci, no?
A presto,
ELLEMME

Il mio maestro José (di Roberto Saviano, da la Repubblica)


Di tutte le cose che poteva fare Josè Saramago morire è quella più inaspettata. Se conoscevi Josè proprio non lo mettevi in conto. Sì, certo tutti muoiono, anche gli scrittori.

Ma lui non ti dava proprio alcuna impressione di essersi stancato di vivere, respirare, mangiare, amare. Si era consumato negli ultimi anni, tra la carne e le ossa sembrava esserci sempre meno spessore, la sua pelle sembrava un sottile mantello che ricopriva il teschio. Ma diceva: "Potessi decidere, io non me ne andrei mai".

Parlare della morte di qualcuno cui si è voluto bene, molto bene, rischia di essere solo un esercizio retorico, una proclamazione di memoria e virtù del defunto. L'unico modo che si ha per mantenersi sinceri, è quello di tentare di descrivere lo spazio di vita in più che ti ha dato chi ha finito di respirare. Questo vale la pena fare. Vedere quanto ti è stato sommato alla tua vita, ciò che ti è rimasto dentro, che riuscirai a passare a chi incontrerai, e questo sì, ha il sapore della vita eterna. In fondo molto non è andato via, se molto sei riuscito a trattenere.

Avevo conosciuto Saramago per la prima volta come tutti, leggendolo. Il Vangelo secondo Gesù era il suo libro che mi aveva cambiato, trasformando il modo di sentire le cose. Quel Gesù uomo, che sbaglia, ama, arranca, cerca di essere felice, mi era sembrato essere un personaggio del tutto nuovo nella storia della letteratura. Era una sintesi dei vangeli apocrifi, dei vangeli ufficiali, dei racconti pagani e delle leggende materialiste sul Cristo socialista. Era il Gesù dell'amore carnale verso Maria Maddalena. Su questo Saramago ha scritto parole incantevoli come solo il Cantico dei Cantici era riuscito a creare: "Guarderò la tua ombra se non vuoi che guardi te, gli disse, e lui rispose "Voglio essere ovunque sia la mia ombra, se là saranno i tuoi occhi"".

E' un Gesù umano che non vuole morire: è il contrario della santità, è uomo con i suoi errori, peccati, talenti e con il suo coraggio. Sembra dire al lettore che basta esser fedeli a se stessi per conoscere la vita e non diventare dei servi, o degli schiavi. "Allora Gesù capì di essere stato portato all'inganno come si conduce l'agnello al sacrificio, che la sua vita era destinata a questa morte, fin dal principio e, ripensando al fiume di sangue e di sofferenza che sarebbe nato spargendosi per tutta la terra, esclamò rivolto al cielo dove Dio sorrideva, Uomini, perdonatelo, perché non sa quello che ha fatto". Proprio così: il Gesù di Saramago rivolgendosi all'uomo chiede di perdonare Dio, ribaltando la versione evangelica del "Padre perdona loro".

E poi ho letto Cecità, altro suo romanzo che ho amato molto e che spesso mi torna in mente. In una frase. Pronunciata da lui per rispondere a me che maledivo certe scelte che mi avevano rovinato la vita. "Arriva sempre un momento in cui non puoi fare altro che rischiare". E la parola di Saramago era sempre una parola rischiosa, non cercava mai di farsi comoda.

Sognavo di trasferirmi da lui, come mi aveva consigliato, esprimendomi solidarietà nei giorni più difficili. Non lo dimenticherò mai. E non dimenticherò mai l'imbarazzo estremo in cui mi trovai quando mi definì "maestro di vita". Io che da lui cercavo continuamente indicazioni, esperienza, per galleggiare in un oceano di difficoltà, bile, rabbia, ostilità. Lui era un maestro che insegnava per farsi a sua volta insegnare. A Stoccolma disse che nella sua vita le persone più sagge che avesse mai conosciuto erano i suoi nonni. Entrambi analfabeti. La loro saggezza era stata costretta a rinunciare per povertà al libro, alla musica, ai teatri, ai dipinti, ma che era riuscita a conoscere la vita, a sentirne con generosità quello che José chiamava sussurro. "Tutte le cose, le animate e le inanimate, stanno sussurrando misteriose rivelazioni".

Una volta scambiandoci alcune riflessioni sullo stile, citai Albert Camus convinto che "lo scrittore che decide di scrivere chiaro vuole lettori, lo scrittore che scrive oscuro vuole invece interpreti". E la risposta fu: "ecco cos'hanno di simpatico le parole semplici, non sanno ingannare". Trovare parole semplici è il mestiere più complicato che sceglie di fare uno scrittore. Avevi ragione, José: "il viaggio non finisce, solo i viaggiatori finiscono". E ora tocca a noi qui. Continueremo a camminare con le tue parole a indicarci la strada senza fine.

P.S. Quando se ne va un grande del pensiero si resta sempre attoniti. Vuoi perchè il vuoto sembra ed è, effetivamente, incolmabile. Vuoi perchè la strada da fare è ancora molta. Come l'inchiostro e come l'anima che, purtroppo, Josè Saramago non consumerà mai per descrivere l'avvilenza e la tortuosità di questi nostri giorni. Addio Maestro.
ELLEMME

sabato 19 giugno 2010

CORSI E RICORSI POLITICI (Cambieremo mai a sinistra?)

Predico da tempo quel che serve alla sinistra (e non credo sia difficile capirlo): partecipazione giovanile e, dunque, dinamica. Credo sia questa la chiave di volta di tutto.
Solo che, a volte, anche il mio partito commette gravi errori in tal senso. E siccome la critica costruttiva aiuta a crescere, non posso non segnalare quanto è appena avvenuto al I Municipio di Roma dove, per logiche correntizie, l'assessore Francesca Santolini, giovane e preparatissima esponente del movimento ambientalista, ha dovuto farsi da parte per un rimpasto di giunta. A lei è stato preferito un uomo ex DS, ex Forza Italia ed ex Udeur(il che è tutto dire...). Per approfondire la dinamica dei fatti vi rimando a quanto riporta il giornalista Andrea Romano.
RIFLESSIONI PERSONALISSIME: Il fatto è che quanto accaduto nuoce a tutto e a tutti. Con buona pace della gente che, stando così le cose, non potrà far altro che astenersi o votare B. e compagnia cantante.
Vi giro la lettera aperta al PD che Francesca Santolini ha scritto pochi giorni fa.
La condivido in pieno. So cosa vuol dire combattere per la trasformazione e il rinnovamento di un partito che vive e respira ancora il passato. Cerco di non mollare. So che voi che leggete siete dalla mia parte in questa lotta che, nonostante le tante vittime mietute, vedrà presto una fine. Positiva per noi tutti, spero.


Caro PD,
in questi giorni una vicenda personale, che per caso è la mia, è diventata oggetto di dibattito sulla rete e tra molti cittadini militanti o simpatizzanti del centrosinistra. Poiché l'ho vissuta dall'interno, ritengo importante dire anche la mia su questa storia, nella speranza che possa servire ad aprire gli occhi sulla degenerazione della politica italiana di cui anche tu, partito di riferimento dell'area progressista, sei parte integrante.

Ti riassumo i fatti. Come sai, il presidente del primo Municipio di Roma ha fatto un rimpasto della giunta: doveva ridistribuire i posti di assessore perché nel PD bisognava rispettare le quote di corrente e perché il gruppo consiliare dell'UDC s'era rafforzato con il passaggio di due consiglieri eletti nel PD. Per accontentare correnti e transfughi non bastavano più due posti di assessore: ne servivano tre. Bisognava far fuori uno dei due assessori provenienti da partiti alleati. Uno era un navigato esponente dell'UDC (ex ds, ex forza italia ed ex udeur) e l'altra ero io, un'ambientalista proveniente dai verdi. La scelta è stata ovvia: da una parte il mio collega, sostenuto dal gruppo dell'UDC costituito artificialmente con i transfughi del PD e del PDL, dall'altra io, che non ho padrini né padroni. E così per non togliere l'assessorato di riferimento di questi furbacchioni, il Presidente del Municipio ha dovuto sacrificare me.
Mi dispiace, perché ci avevo messo impegno. Perché sono una trentenne, perché credevo nel pluralismo del centrosinistra, perché credo che la politica locale sia il vero laboratorio del rapporto fra cittadini e istituzioni.

È proprio questo il punto: tu, caro PD, e i tuoi dirigenti, non fate che parlare di rinnovamento, di riforme, di merito, di impegno sul territorio, di apertura alla società civile. Ma poi, a Roma come in mille altre realtà locali, non fai che dare spazio a personaggi che non pensano che a far manovre per ottenere qualche posto e qualche spazio di potere. Mentre i tuoi leader chiacchierano di valori, tu sei in mano alle bande locali che ti tendono agguati, si trasformano passando da un partito all'altro, e se ne fregano letteralmente di costituire giunte in grado di amministrare bene servizi e territori.

Cose che succedono, dirai tu, perché così è la politica. Ma sei sicuro? Davvero credi che la politica non sia altro che questo? E se lo credi, perché ti stupisci se ad ogni elezione centinaia di migliaia di persone che ti votavano smettono di farlo? Perché dovrebbero mettere la croce sul simbolo del PD, se la politica non è altro che equilibrio fra gruppi di potere che, ormai privi completamente di progetti e ideali, non sono altro che bande di compari preoccupati solo di occupare poltrone a tutti i livelli, dal piccolo municipio fino al Parlamento? Se credi davvero questo, caro PD, temo che non ci sia nulla da fare. Che dobbiamo soltanto aspettare la tua scomparsa e vedere cosa prenderà il tuo posto. Ma forse non lo credi davvero. Forse sai, in fondo, che sarebbe necessaria una svolta, che deve passare inevitabilmente dal cambiamento ampio e radicale delle persone che fanno il Partito, in tutte le sedi e a tutti i livelli. E' un'operazione difficilissima e dolorosissima, ma ormai è l'unica possibilità di salvarti dal declino.

Tu che ti opponi alla xenofobia, che rifiuti la retorica leghista dell'identità etnica, dovresti accogliere con fiducia persone nuove, fresche non solo per l'età, ma perché provengono da culture esterne ai due partiti da cui sei nato. Oggi il ceto politico di sinistra ha una grandissima resistenza ad accettare chi non si è formato al suo interno, e dunque non si è assuefatto alle dinamiche che ti ostini a chiamare "politiche" ma in realtà sono solo cosmetiche. Se qualche faccia nuova compare, di quando in quando, si tratta quasi sempre di persone cooptate sotto la condizione di accettare questa distorsione della politica, specchietti per le allodole. Io non sono così, e credo di averlo dimostrato con il mio lavoro e anche con un libro uscito quest'anno, che si chiama "Passione verde" perché vorrebbe esprimere passione per la politica vera, quella che mira a migliorare la vita della gente. La storia del Primo municipio di Roma dimostra che oggi per quelli come me non c'è posto né dentro né intorno al partito. Dimostra che nei fatti sei un partito "xenofobo", che rifiuta chi non è omologato. Ma come fai a conservare il ruolo di grande forza di riferimento del centro sinistra se non dimostri il coraggio di chi guarda al nuovo e al diverso come una risorsa indispensabile?

Tutti noi, e anche tu, caro PD, abbiamo bisogno di persone nuove, che rivendichino il diritto di appassionarsi di politica, di vera politica, di potersi occupare di cosa pubblica. Bisogno di persone giovani non solo all'anagrafe: giovani perché diverse dalle vecchie generazioni, contemporanee perché proiettate verso il futuro e non aggrappate alle piccole logiche del presente e del passato.

Chi vede solamente il presente, le scadenze a breve termine, i pochi anni che ha di fronte come spazio di azione temporale dei propri impegni politici, forse è inadeguato a guidare un paese come il nostro di fronte ai grandi processi di cambiamento che deve affrontare.

E allora, caro PD, la mia storia è la storia del tuo declino. Della tua incapacità di offrire un orizzonte a tanti giovani che devono reprimere l'impegno e la passione perché per fare politica occorre far parte di una banda, adeguarsi alle logiche di spartizione, ai bilancini delle quote.

Ma tutti quelli che hanno rinunciato o stanno rinunciando all'impegno sono ancora lì, fuori della tua porta. Non hai pensato che basterebbe aprirla, quella porta, per far entrare tutta l'energia di cui hai bisogno? E non credi che da quella porta rientrerebbero anche i milioni di voti che hai perso negli ultimi anni?

Francesca Santolini


P.S. Una lettera aperta, questa, piena delle tante critiche che faccio al partito ogni giorno. Una lettera che, però, si chiude con una possibilità positiva che solo un giovane sa vedere: le porte che si devono riaprire.
Caro PD, stavolta è Leonardo che ti scrive: le spalanchiamo queste porte? la facciamo "saltare in aria" questa gabbia che chiamiamo "sede di partito"?
In Ecce Homo, Nietzsche scrive: "Io non sono un uomo, sono dinamite". Sarebbe ora di rileggerlo...

mercoledì 16 giugno 2010

La storia degli altri (da Pastorale Americana di Philip Roth)

[...]Lotti contro la tua superficialità, la tua faciloneria, per cercare di accostarti alla gente senza aspettative illusorie, senza un carico di pregiudizi, di speranze o di arroganza, nel modo meno simile a quello di un carro armato, senza cannoni, mitragliatrici e corazze d'acciaio spesse quindici centimetri; offri alla gente il tuo volto più bonario, camminando in punta di piedi invece di sconvolgere il terreno con i cingoli, e l'affronti con larghezza i vedute, da pari a pari, da uomo a uomo, come si diceva una volta, e tuttavia non manchi mai di capirla male.
Tanto varrebbe avere il cervello di un carro armato.
La capisci male prima d'incontrarla, mentre pregusti il momento in cui l'incontrerai; la capisci male mentre sei con lei; e poi vai a casa, parli con qualcun altro dell'incontro, e scopri ancora una volta di aver travisato.
Poiché la stessa cosa capita, in genere, anche ai tuoi interlocutori, tutta la faccenda è', veramente, una colossale illusione priva di fondamento, una sbalorditiva commedia degli equivoci.
Eppure, come dobbiamo regolarci con questa storia, questa storia cosi' importante, la storia degli altri, che si rivela prima del significato che secondo noi dovrebbe avere e che assume invece un significato grottesco, tanto siamo male attrezzati per discernere l'intimo lavorio e gli scopi invisibili degli altri?
Devono, tutti,andarsene e chiudere la porta e viver isolati come fanno gli scrittori solitari, in una cella insonorizzata, creando i loro personaggi con le parole e poi suggerendo che questi personaggi di parole siano più vicini alla realtà delle persone vere che ogni giorno noi mutiliamo con la nostra ignoranza?
Rimane il fatto che, in ogni modo, capire bene la gente non e' vivere.
Vivere è' capirla male, capirla male e male e poi male e, dopo un attento riesame, ancora male.
Ecco come sappiamo di essere vivi: sbagliando.
Forse la cosa migliore sarebbe dimenticare di avere ragione o torto sulla gente e godersi semplicemente la gita.
Ma se ci riuscite...Beh, siete fortunati.

Università di Taranto: perse tre lauree (di M.R. Gigante, da La Gazzetta del Mezzogiorno)

La Taranto che perde pezzi, la Taranto dei tagli, ora perde anche spazi dell’offerta formativa accademica. «Oppressa» dall’esigenza di razionalizzare le risorse umane e finanziarie e dai parametri sempre più stretti da rispettare per tenere in piedi un corso di laurea, l’Università di Bari cancella nell’offerta formativa del prossimo anno a Taranto un pacchetto piuttosto significativo di opportunità. Si tratta - con qualche possibile distinguo rispetto alle previsioni per il futuro - dei corsi di laurea in Scienze della maricoltura, acquacoltura e igiene dei prodotti ittici della facoltà di Medicina veterinaria, di Lettere dell’omonima facoltà e di Scienze della moda della facoltà di Scienze della formazione. Una cancellazione che, in alcuni casi, spiega il preside di Medicina veterinaria, Bonavoglia, è solo una «pausa tecnica» di un anno. Il tempo necessario a organizzare al meglio il corso di laurea in base al nuovo ordinamento della legge 270. Ma in qualche altro caso potrebbe non essere così. Viene comunque sempre confermata - e non potrebbe essere diversamente - la prosecuzione dell’offerta formativa per gli studenti degli anni successivi al primo.

L’offerta formativa per il prossimo anno - dopo alcune proroghe - deve essere ufficializzata dalle Università entro oggi. Anticipando di qualche giorno, il Senato accademico di Bari nell’ultima seduta di maggio ha praticamente approvato l’intero pacchetto di corsi che saranno assicurati il prossimo anno a Bari ed in tutte le sue sedi decentrate.

Ecco, dunque, cosa ci sarà a Taranto. Seconda facoltà di Economia di Taranto: Laurea in Economia e amministrazione delle aziende, laurea magistrale in Strategie d’impresa e management. Seconda facoltà di Giurisprudenza di Taranto: Laurea in operatore dei servizi giuridici, laurea magistrale in Giurisprudenza. Seconda facoltà di Scienze matematiche fisiche e naturali di Taranto: laurea in Scienze e gestione delle attività marittime (interfacoltà); laurea in Informatica e comunicazione digitale; laurea in Scienze ambientali. Facoltà di medicina e chir urgia: corso di laurea in Infermieristica, corso di laurea in Tecniche della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro (a numero chiuso, i posti disponibili saranno resi noti in seguito). Facoltà di Lettere e filosofia: laurea in Scienze dei beni culturali per il turismo. Scienze della formazione: laurea in Scienze dell’educazione e dell’animazione socio-culturale; laurea in Scienze della comunicazione nelle organizzazioni.
Tecnicamente il corso di laurea in Scienze della maricoltura - una quarantina di immatricolazioni all’anno, un buon numero stando alla specialità del corso, 8 docenti qui incardinati -, è istituito ma non attivato per un anno.

«Abbiamo deciso un anno di pausa tecnica - spiega il preside Bonavoglia - per avere il tempo necessario per operare la trasformazione di classe di laurea. Dovremo migliorare l’org anizzazione delle discipline, razionalizzare la distribuzione dei crediti per esame, dare più spazio ai tirocini. Non pensiamo assolutamente di chiudere il corso. Rimaniamo con il secondo e terzo anno. E’ una uguale operazione che abbiamo deciso di fare anche per una laurea specialistica a Bari, Igiene e qualità degli alimenti, che peraltro costituisce la logica prosecuzione di studi anche per i laureati in Maricoltura».

P.S. Se "Formazione" = "Futuro". E la voce "Formazione" è in calo, risulta che....

martedì 15 giugno 2010

ANCORA VIVO. NONOSTANTE TUTTO

Sono alle prime armi in tutto. Figurarsi in politica. Dove tutti sanno quando/come/dove fare quel che c'è da fare. E lo sanno fare meglio di te, ovviamente. Io, invece, ascolto tutti. E imparo da tutti, come è giusto che sia. Ed è per questo che tra trattori e detrattori, tra tori e tra attori...sono ancora vivo. E lo sono nella maniera a me più congeniale: restando me stesso. Credendo, forse ingenuamente ma comunque intensamente, che qualcosa possa veramente cambiare. Con la forza di una nuova cultura politica del cambiamento. Sperando che anche altri giovani comprendano come tutto il "panorama" si stia riempiendo di nuvole. Oltre le quali solo i nostri sguardi possono andare. Sguardi puliti e "rivoluzionari".
Ho pianto perchè sono umano e perchè ho degli ideali. Ma poco dopo ho asciugato le lacrime e ho rialzato la testa. Perchè non mollerò e continuerò a credere che qualcosa possa cambiare.
Con affetto,
ELLEMME

Indietro di 40 anni tutto in nome della produttività (di Pippo Civati e Ernesto Ruffini, da l'Unità)

Sembra che l’Italia stia facendo di tutto per spostare le lancette dell’orologio indietro di una quarantina d’anni.E così ci troviamo di slancio in un’epoca precedente al 1970, quando un Parlamento incalzato dai sindacati fu portato ad approvare lo Statuto dei lavoratori. Ma non ci basta, no: rischiamo di scivolare ancora più indietro, quando durante un altro Ventennio, il codice penale considerava lo sciopero come un reato, come un crimine verso l’azienda e verso il Paese.
Con l’avvento della Repubblica democratica fondata sul lavoro, i Costituenti si resero conto che, «se è vero che lo Stato è chiamato a tutelare il lavoro, con ciò non si esclude che anche la classe lavoratrice possa tutelare essa pure direttamente il lavoro » (Ghidini). Tutti i Costituenti, e non solo quelli che militavano nel Pci, ritennero «urgente ed indispensabile che una legge» riconoscesse «il diritto di sciopero dei lavoratori, abrogando i divieti fascisti in materia » (Fanfani) e vollero affermare come diritto «quello che il fascismo definiva a torto delitto» (Merlin). Perché il diritto di sciopero «non è altro che la logica derivazione del diritto alla legittima difesa, non è che una triste necessaria conseguenza di un rapporto di forza (…) fra capitale e lavoro» (Taviani). Era questo il clima in cui fu approvato l’art. 40 della Costituzione.
Ora siamo nel 2010 e la Costituzione e lo Statuto dei lavoratori sono diventate figure mitologiche rimpiante con nostalgia da qualche romantico isolato. Annuncio dopo annuncio, proclama dopo proclama, di quelle conquiste rischiamo che non rimanga più neanche il ricordo. Così, assistiamo increduli alla nuova stagione ricostituente che si sta consumando a Pomigliano: dopo l’attacco (retorico) della scorsa settimana all’articolo 41 della Costituzione italiana, ora dobbiamo registrare l’attacco (effettivo) all’articolo 40. Un articolo al giorno leva la Costituzione di torno.
Un invito alla responsabilità è stato rivolto dall’azienda ai lavoratori. E i lavoratori della Fiat questo caloroso appello l’hanno raccolto e hanno accettato una profonda riorganizzazione e l’intensificazione dei turni di lavoro, compreso il sabato notte. Ma, anche in questo caso, non bastava: ci voleva anche la compressione del diritto di sciopero.
Tutto all’insegna della modernizzazione e della produttività, ovviamente. E di una riforma dello Statuto dei lavoratori, che forse in futuro non sarà nemmeno necessaria: perché dello Statuto e degli opportuni riferimenti costituzionali si può anche fare a meno. A Pomigliano e nel resto del Paese.


P.S. Ecco una traccia su cui tutti a sinistra dovremmo lavorare: il lavoro. Noi del PD di Laterza, infatti, faremo un pubblico incontro con i lavoratori della Natuzzi (parlando anche della situazione nazionale) il 26 di Giugno. E' un primo passo. Ma non l'ultimo, ovviamente.
A presto,
ELLEMME

lunedì 14 giugno 2010

La legge-bavaglio richiama il Ventennio (di Mauro Favale, da la Repubblica)

ROMA - È stato inaugurato il primo ottobre 2006. In Italia è il primo e finora unico monumento alla libertà di stampa. Una macchina tipografica degli anni ' 40 al centro della piazza di Conselice, provincia di Ravenna, attorno alla quale il primo luglio la Federazione nazionale della stampa (Fnsi) si riunirà per una "notte bianca" di protesta contro il ddl sulle intercettazioni. Il monumento evoca l' eccidio nazifascista di tre partigiani che diffondevano stampa clandestina durante la seconda guerra mondiale. Ed esplicitamente Franco Siddi, segretario della Fnsi, fa un parallelo tra il ddl intercettazioni e i provvedimenti contro la stampa adottati durante il fascismo. Conselice anticiperà la mobilitazione del 9 luglio, quando stampa e tv si fermeranno per 24 ore per una giornata di "rumoroso silenzio" durante la quale sarà protagonista anche il Popolo Viola che sta organizzando per la stessa data una manifestazionea Roma.E intanto la "pagina bianca" con la quale Repubblica è uscita venerdì ha fatto il giro del mondo, ripresa da numerose testate estere, da El Pais al brasiliano La Fohla de S.Paulo, da Libération all' argentina La Nacion. Il sindacato giornalisti ha lanciato ieri un appello «a tutti i colleghi per un impegno con il massimo di energia, oggi, per evitare che il Parlamento approvi questo disegno di legge, domani, nella sciagurata ipotesi che fosse approvato per sostenere il nostro ricorso alla commissione europea per i diritti dell' uomo». «In queste ore - spiega la Fnsi - i giornali devono costruire un collegamento profondo con i cittadini ed evidenziare che i diritti che questo disegno tendea cancellare non sono diritti corporativi ma diritti dei cittadini». Il ddl, per il segretario Franco Siddi «richiama il luglio del 1923. Come pesano le parole dell' allora capo del governo, Mussolini, quando ancora non aveva instaurato il regime e ai suoi ministri chiese un provvedimento "sugli abusi a cui si abbandonano senza ritegno taluni organi della stampa italiana" e ordinò di scrivere un decreto per "prevenire e reprimere energicamente e immediatamente gli abusi e i delitti di talune pubblicazioni». «Certo - scrive Siddi in un editoriale su La Nuova Sardegna - non siamo al regime del successivo 1925 e credo che abbiamo gli anticorpi per non arrivarci, ma si sta cambiando l' ordine dei valori morali». La Fnsi, inoltre, chiede una nuova audizione in commissione giustizia della Camera «perché - spiega - il passaggio a Montecitorio del ddl non può essere la mera ratifica del mostro uscito dal Senato». Proseguono, le mobilitazioni in tutta Italia contro il ddl. Il segretario della Cgil, Guglielmo Epifani, ieri dal palco della manifestazione di Roma ha spiegato che «la Cgil non piegherà la schiena. Sulla giustizia e sulla libertà di stampa nessun bavaglio, nessun ostacolo alle indagini». Da ieri è listato a lutto anche il sito internet del Pd. Da parte sua il Popolo Viola sta organizzando manifestazioni di protesta in tutta Italia che accompagneranno l' iter parlamentare del ddl. Finora sono state lanciate due iniziative nazionali: una il 4 luglio («contro i tagli e i bavagli» alla quale ha aderito anche Micromega) e una per il 9 luglio, in contemporanea con lo sciopero dei giornalisti. Un vero e proprio "No bavaglio day" perché scrivono i promotori in un appello «dal 9 luglio nulla sarà più come prima nel nostro Paese».

P.S. Troppa è l'indignazione per quanto sta accadendo con questa legge liberticida. Ieri ho lasciato il blog intonso in segno di protesta. Oggi, però, mi sono affidato alla penna di Mauro Favale. Perchè la vera protesta è continuare ad informare. Con la schiena ritta.
A presto,
ELLEMME

sabato 12 giugno 2010

Che il Pd faccia il Pd (di Giuseppe Civati, da l'Unità)

Sogno una grande mobilitazione. D’altri tempi, sì, perché questi, purtroppo, sono proprio altri tempi. Non solo le manifestazioni nazionali – che spero convergeranno, tra l’altro – ma una manifestazione diffusa in tutta Italia e vicina alle persone.

Ci sono le intercettazioni che, nel Paese dalla fragile libertà di stampa, costituiscono uno scandaloso bavaglio per i mezzi d’informazione e un vero e proprio monumento all’insicurezza (!), perché, nel Paese del telefono, negare la possibilità di indagare anche attraverso il ricorso alle intercettazioni è come togliere i poliziotti dalle strade: nel Paese della corruzione che dilaga è un episodio davvero grave e avvilente. C’è un attacco alla Costituzione (infernale!) che supera di slancio tutte le precedenti sparate di Berlusconi e dei suoi.

C’è una manovra che non contiene una riga sul futuro del nostro Paese e che va nella direzione sbagliata, perché non riduce ma, anzi, aumenta le differenze tra chi sta bene e chi non ce la fa (perché in Italia non si può mai parlare di rendita – chissà poi perché – e si è tolta l’Ici a chi la poteva pagare, proprio quando la crisi stava arrivando).

Non dobbiamo più dare l’impressione di essere sulla difensiva, se è vero com’è vero che questa finanziaria riscatta in pieno anche la memoria delle cose fatte in campo economico da parte del governo Prodi. Usciamo dai circoli, allora, diamoci da fare, incontriamo i cittadini, parliamone nei luoghi di lavoro e nelle mille piazze di questo paese, ma anche nei luoghi dell’estate che inizia, nelle mille spiagge, nelle serate d’estate che ci attendono. Chiediamo il coinvolgimento più ampio e la partecipazione più larga possibile. Ci sono i Mondiali? E allora giochiamoci la partita delle partite, Italia contro Berlusconia, perché il gioco si è fatto fin troppo pericoloso. Per tutti.

Ritroviamo il gusto dell’informazione politica, della passione, l’ospitalità nei confronti di chi s’indigna e chi ha qualcosa da dire: perché il Pd è uno spazio nel quale capire le cose e dirle, denunciarle, raccontarle al Paese, con parole diverse, un partito che non ha paura di confrontarsi con nessuno e che conosce l’importanza di chi difende la Costituzione, la libertà di informazione e la dignità del lavoro.

Il Pd quest’estate non può andare in vacanza, per il suo e nostro bene. E, forse, senza presunzione, per il bene del Paese. La rassegnazione è pericolosa e la rinuncia è la cosa meno progressista che ci sia. Per ora, in questo momento noir, si sono mossi soprattutto i movimenti, Popolo Viola e Valigia Blu in primis. Ora è il momento che il Pd faccia il Pd. E si faccia trovare dove si trovano i cittadini. Se non ora, quando?

venerdì 11 giugno 2010

ENRICO BERLINGUER: IN RICORDO DI UN VIVENTE


Sono ormai 26 anni che il grande Enrico Berlinguer ci ha lasciato. Io sono nato cinque anni più tardi. E, pertanto, l'ho "conosciuto" solo tramite i video dei suoi comizi appassionati, leggendo qualche libro sul suo pensiero e l'ho vissuto anche tramite i racconti del mio papà.
Per questo il grande Enrico suscita in me sempre rispetto e ammirazione. E, in maniera forte, mi sconvolge come molti suoi pensieri siano del tutto attuali ancor'oggi. Mi sconvolge come fosse così capace di cogliere il futuro restando nel suo presente. Era un gran bel pensatore. Come ne passano pochi su questa terra...
Approfitto, allora, del web per inviargli un messaggio personale...sapendo che, in qualche modo, lo leggerà!

"Ogni giorno, ogni istante della mia vita (tra studio e politica) ho sempre te, caro Enrico, come stella polare. So che, dovunque tu sia, stai guardando con affetto tutti i ragazzi che cominciano ad interessarsi di politica. So che li proteggi. So che mi proteggi. So che sai che lo sguardo di un giovane è sempre puro e scevro da pregiudizi. E che perciò, quello sguardo è l'unico veramente "rivoluzionario" e prorompente. L'unico sguardo che serve alla nostra società così piena di problemi. Rileggendoti e riascoltandoti pare di averti ancora tra di noi. Ed in effetti, lo sei. I tuoi discorsi pulsano, i tuoi pensieri camminano. E, dunque, tu sarai tra noi ora e sempre.
TI VOGLIO BENE ENRICO

giovedì 10 giugno 2010

CRITICA DELLA RAGION POLITICA

Più ci passo il tempo e più m'accorgo delle potenzialità (inespresse, altrimenti non sarebbero potenzialità) del Partito Democratico. No, ragazzi, non siete a Zelig o in un cabaret di provincia. E, a costo di poter sembrare ai più un pazzo (o quantomeno un tipo eccentrico), lo ribadisco: il PD può essere la chiave di volta del futuro. A patto, ovviamente, che manifesti quanto di buono ha al suo interno. E, che dir si voglia, il buono c'è!
Il PD nacque poco meno di tre anni fa con un’intenzione ben precisa: superare gli schematismi (veramente trascendentali) della vecchia politica per costruire una sinistra per il XXI secolo.
Ricordo bene quella fase e, francamente, non la accettavo. Ma ora, con un po’ di anni in più sulle spalle, comprendo che quel presupposto era ed è, secondo me, la chiave di volta per la sinistra. Cerco qui di chiarirne il perché.
Chi vi scrive, dovreste saperlo, ha vent'anni. Appartiene, dunque, alla "classe 89": la prima che non ha conosciuto un mondo (politico e non) diviso in "comunisti" e "democratici". Difatti ho concepito da sempre la politica divisa, questo sì, tra destra e sinistra. Una sinistra, però, democratica e sociale che conservasse le sue radici e che, al contempo, guardasse a testa alta l'orizzonte del "futuro che si farà presente".
Si dirà: ma anche i partiti che hanno preceduto il PD erano democratici. Certo che sì. Ma il passato, a mio avviso, condizionava tanto e troppo il loro status, le loro azioni e, di conseguenza, la loro percezione pubblica. E con questo non intendo dire che fossero "comunisti mascherati da democratici" - come paventava Berlusconi nella campagna elettorale del 1994. Dico solo che la gente non percepiva in quei politici il segno di un tempo che era ormai passato. E, questo, per chi è impegnato in politica, è essenziale. Difatti chi non incarna le prerogative e le prospettive del proprio tempo resta invisibile alle masse.
Ed è fondamentalmente questa la base, il sostrato di pensiero che sta sotto al Partito Democratico: ripensare, innovare e riempire la politica e il proprio tempo. Ma passata l'euforia iniziale, è tornato prorompente lo schema del passato che, inevitabilmente, ha ricordato a tutti che questo nuovo partito è nato dalla fusione dei vecchi DS e Margherita. E nulla fu più come prima.
Allora mi chiederete come faccio ad essere ottimista sul futuro di questo partito. E la risposta è banale (non fate più domande così banali, suvvia!): proprio in virtù di quelle basi che ci fondano ma che ogni giorno ormai contribuiamo a distruggere. Ripensare la politica in forza del proprio tempo è, infatti, qualcosa di radicale ma vitale per qualsiasi partito o organizzazione. Insomma, in un’era post-ideologica come la nostra (siamo nel 2010 ed è ridicolo sentirsi solo "ex" di qualcosa) serve costruire una nuova idea. Un'idea che salvi le radici ancora sane ma che punti al/sul futuro. Perché è forse questo il grosso problema del mio partito oggi: sembra piegato sul passato.
E allora chi potrebbe creare una nuova idea di politica di sinistra (verace e pulsante): i figli del proprio tempo. Ovvero, i giovani. E, si badi bene, non ne faccio una questione anagrafica. La politica ha, infatti, bisogno di tutti. Perché tutti sono utili. Purché "lavorino" nei giusti spazi, ovviamente.

Appendice alla "Critica": E' chiaro che, tutto questo bel discorsetto, va poi verificato (etimologicamente dal latino sta per "render vero", "realizzare"). A tutti i livelli e in tutte le realtà politiche, ben inteso.

mercoledì 9 giugno 2010

Berlusconi contro tutti (di Ninni Andriolo, da l'Unità)

Silvio contro tutti, ripiombato all’improvviso in piena campagna elettorale. Fendenti a destra e a manca. Magistrati, giornalisti, Consulta, Parlamento, opposizione, alleati di partito, Rai «faziosa» da punire con il mancato rinnovo del contratto di servizio. Tra una gaffe - classica quella sulla Marcegaglia - e l’altra, Berlusconi ha colpito di sguincio anche il Quirinale. Perfino i terremotati dell’Aquila hanno trovato posto nello show andato in scena tra Palazzo Grazioli, dove si riuniva l’ufficio di presidenza Pdl, e l’assemblea di Federalberghi dell’Auditorium Parco della musica. In polemica con la procura per le accuse di omicidio colposo relative al sisma del 2009, Berlusconi ha invitato i dirigenti della Protezione civile a non recarsi più a l’Aquila.

Perché, testuale, «appena vanno in Abruzzo gli saltano addosso, si rischia che qualche mente fragile, che ha avuto parenti morti sotto le macerie, possa sparare un colpo in testa». La tranquilla giornata del Cavaliere era iniziata con l’anatema contro le lobby dei magistrati e dei giornalisti che «ostacolano» la legge sulle intercettazioni e «ci criminalizzano perché dicono che vogliamo impedire la libertà di stampa».

La storiella che si ripete è quella del premier senza poteri, in minoranza nel governo e nel partito sulla manovra economica come sulle intercettazioni. A proposito del ddl in discussione al Senato, il capo del governo si è preoccupato ieri di far sapere che avrebbe voluto un testo «più incisivo». Si è perfino «astenuto» Silvio, mentre tutto il vertice Pdl - finiani compresi - votava a favore «del compromesso raggiunto». Che, si duole Berlusconi, «non onora del tutto gli impegni presi con gli elettori». Un premier «democratico» che non riesce a far prevalere il suo punto di vista e non può governare, così il premier. Le sue dichiarazioni preludono a una offensiva a tutto campo sul presidenzialismo per l’ultimo scorcio di legislatura. La posta in gioco è sempre la stessa: la riconferma a Palazzo Chigi o la scalata al Quirinale nel 2013. Ieri, tuttavia, il Capo del governo ha lanciato un avvertimento a Pdl e i finiani.

Niente scherzi sulle intercettazioni, dopo l’ok del Senato il testo va blindato alla Camera. La decisione dell’ufficio di presidenza Pdl «è vincolante» per tutti i parlamentari azzurri. Intorno all’ultima riscrittura del ddl è maturata l’intesa della «non crisi» tra Berlusconi e Fini. Il Presidente della Camera - ottenute modifiche ascrivibili pubblicamente alla sua iniziativa - ha dato ai suoi l’indicazione di fare squadra con la maggioranza del partito e di astenersi da dichiarazioni «destabilizzanti». In cambio ha ottenuto il riconoscimento di fatto «di una componente che viaggia intorno al 20%». E, assieme, un varco per avanzare una candidatura governativa e di partito per qualcuno dei suoi. «Va ad onore di Berlusconi essersi astenuto perché a suo avviso non manterrebbe in toto gli impegni in materia di tutela della privacy - afferma una nota di Fini - Comunque sono certo che Berlusconi concordi con me sul fatto che la nuova formulazione del ddl fa sì che esso non contrasti con altri impegni presi con gli elettori: quelli in materia di lotta alla criminalità e di difesa della legalità».

Ma il Cavaliere dell’Auditorium, prendendo di petto ieri la «lobby dei magistrati e dei giornalisti» che «ci hanno impedito di giungere a un testo che difenda al 100% il nostro diritto di libertà», ha seminato molto imbarazzo tra i reparti finiani. Il Presidente della Camera, tra l’altro, deve fare i conti con le ricadute della blindatura del ddl e con le perplessità persistenti del Quirinale. E il silenzio del drappello finiano sullo show del Cavaliere parla in modo eloquente. «La sovranità oggi non è più del Parlamento», attacca Berlusconi. Suna legge passa il vaglio del Quirinale «devi sperare che i pm di Magistratura democratica non vadano alla Consulta per farla abrogare...». Un «calvario quotidiano» colpa dei padri costituenti che «hanno frammentato il potere senza riservarne alcuno al premier». E quando un provvedimento esce da Palazzo Chigi «magari tu avevi pensato a un cavallo e dal Parlamento vien fuori un dromedario».

domenica 6 giugno 2010

Il liberismo di ritorno: Tremonti e il grave attacco all'art. 41 (di Pippo Civati e Ernesto Ruffini, da l'Unità)

L’ultimo annuncio del Governo degli annunci è quello di Giulio Tremonti che, per rilanciare l’economia, intende liberalizzare interamente l’attività delle piccole imprese: «una radicale autocertificazione per i protagonisti dell’economia reale». Una deroga della durata di tre anni a tutti gli innumerevoli adempimenti cui sono costretti i piccoli imprenditori. Poi alza il tiro: occorre intervenire anche sulla Costituzione, modificando l’art. 41 (sì, oggi tocca al 41), che impone insopportabili limiti all’iniziativa economica privata.

Ma cosa c’entra la Costituzione con la semplificazione? E poi, come s’intende intervenire sull’art. 41? Eliminando ogni limite all’iniziativa economica privata, secondo il facile slogan secondo cui «tutto deve essere libero tranne ciò che è proibito»? In realtà, l’esigenza della semplificazione non è certo un’invenzione di Tremonti, ma nessuno aveva mai pensato di toccare a questo scopo la prima parte della nostra Carta. Lo ha sottolineato Pierluigi Bersani: «con l’art. 41 della Costituzione in vigore si possono fare tutte le semplificazioni che si vogliono». Anche perché l’art. 41 non pone alcun freno particolare all’economia privata, ma si limita ad affermare che «è libera», che «non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana» e che «la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali».

Principi di grande importanza , soprattutto in un momento come questo. E i Costituenti intesero riconoscere la «funzione sociale» dell’iniziativa economica (Ghidini), che deve convergere «verso il bene comune» (La Pira) e che non può «prescindere dai controlli e dagli interventi a fini positivi di coordinamento» (Mortati). In questa prospettiva, fecero notare «ai pavidi d’ogni interventismo statale che è per essi una garanzia, nel senso che il coordinamento non potrà avvenire per semplice decisione o capriccio di autorità e di Governo, ma soltanto per legge» (Ruini). I Costituenti, quindi, vollero riconoscere che «anche in un regime economicamente libero vi sono dei limiti imposti per legge all’impresa», sebbene ispirati a «criteri di elasticità, di guida e direzione» (Ruini).

La verità è che Tremonti, per uscire dall’angolo in cui si è infilato negli ultimi giorni, torna al liberismo più sfrenato: proprio quello che ora è messo in discussione dalla grave crisi economica da cui Tremonti, dopo averla a lungo negata, fatica a uscire. Se non con colpi di scena controrivoluzionari. E sbagliati. Come sempre.

giovedì 3 giugno 2010

Saviano purché francescano (di Massimo Gramellini, da la Stampa)

Fino a quando lo affermavano politici prevenuti e intellettuali invidiosi, si poteva sorvolare. Ma ora che persino un punto di riferimento per le masse come il centravanti milanista (e napoletano) Borriello accusa Saviano di «aver lucrato sulla mia città», la questione si fa maledettamente seria. È giusto che uno scrittore possa acquisire fama e denaro parlando di camorra, come un centravanti facendo dei gol? Nel suo ultimo disco il musicista partenopeo Daniele Sepe - meno conosciuto di Borriello perché non si è mai fidanzato con Belen - rinfaccia a Saviano: «Hai fatto fortuna, ma chi ti paga è il capo dei burattinai», come se fosse la berlusconiana Mondadori ad aver arricchito il suo autore e non viceversa. Eppure basta bighellonare fra i blog che commentano le parole di Borriello per accorgersi che tanti la pensano come lui e paragonano Saviano a «uno che fa beneficenza e va a dirlo in giro».

In questo Paese cattolico e contadino, che pensa al denaro di continuo ma non smette di considerarlo lo sterco del demonio, è passato il principio che argomenti nobili come la legalità e la giustizia sociale vanno maneggiati in incognito e senza percepire compensi di mercato. Briatore può farsi docce di champagne su tutti gli yacht che vuole: è coerente col personaggio. Ma Santoro non deve guadagnare come Letterman né Saviano come Grisham, perché da chi sferza il malcostume gli italiani pretendono voto di povertà. A noi gli eroi piacciono scalzi e sfigati, per poterli compatire e sentirci più buoni. Così dopo votiamo i miliardari con maggiore serenità.

NOTA A MARGINE: Il "fotografo" Gramellini ci regala un'altra "fotografia" impietosa del Bel Paese. Dove informare è sempre più reato. E dove il reato (quello vero, però) è sempre più normale...
Insomma un'Italia sempre più da "che ce frega e che ce importa"!
ELLEMME

mercoledì 2 giugno 2010

VOGLIA DI EVADERE (PERCHE' NON SI PUO' MORIRE DENTRO)

Un martedì da "Ballarò". Come ogni altro. Ed invece, all'improvviso, tutto cambia! Chiama Lui, Mr. President. E, come al solito, non è mai banale quando si appresta a sparare balle grosse come case.
Breve resoconto: fino a quel momento si parlava della manovra economica del ministro Tremonti e delle sue possibili implicazioni. Senonché ci si spinge a dire due cose che Silvio non digerisce:
1 - che il suo gradimento è in picchiata (lo afferma il sondaggista Nando Pagnoncelli);
2 - che la suddetta manovra non contrasterà appieno l'evasione fiscale e che lo stesso Berlusconi ebbe già modo di dirsi piuttosto favorevole all'evasione fiscale (secondo l'opinione del giornalista Massimo Giannini).
Apriti cielo e si scatenino i fulmini dell'ira presidenziale!
Squilla il telefono in diretta. L'atmosfera si fa elettrica e poi...la sua voce. Ascoltiamola dal vivo!





La replica è come al solito alla sua altezza. Cioè bassa, molto bassa. Perché? Per tre motivazioni che qui vi appunto:
1 - in base a quale criterio metodologico i "suoi" sondaggi sono veritieri e quelli di Pagnoncelli sono errati?
2 - in democrazia (sempre se si ritiene democratica l'Italia!) si attende la replica di chi sostiene le tesi contrarie. Ma forse sarà per abitudine che il Presidente del Consiglio attacchi la cornetta (perché Mondialcasa lo aspetta?) dopo le sue sfuriate...
3 - perché ieri, difendendosi dall'attacco di Giannini che gli dava prove delle sue "affinità evasive" (con buona pace di Goethe), ha affermato che lui non ha mai "giustificato e sostenuto l'evasione fiscale".
Tutto bello, molto bello. Ma, guarda caso, falso! Basta vedere qui sotto.




Correva l'anno 2004. Non un secolo fa, appunto.
Ed io, ancora una volta, vado a dormire pensando al valore delle parole...

Perché ci serve uno shock generazionale (di Ivan Scalfarotto)

La proposta del PD, approvata dall’Assemblea nazionale la scorsa settimana, di dare uno “shock generazionale” all’università anticipando la data di pensionamento obbligatorio dai 72 ai 65 anni ha sollevato un vespaio di polemiche, a dimostrazione che il ricambio generazionale è molto più facile a dirsi che a farsi. Devo dire subito che, non foss’altro che per esserne vittima, in linea di massima detesto le generalizzazioni e gli stereotipi, e trovo che tutte le discriminazioni siano odiose, incluse quelle basate sull’età. Se potessi scegliere il paese dove vivere, me ne andrei in un posto dove ciascuno viene valutato secondo le sue capacità e dove ogni posto di lavoro viene assegnato a chi lo merita di più, che sia uomo o donna, bianco o nero, giovane o vecchio. L’assenza di discriminazioni, infatti, è possibile soltanto in un mondo rigidamente meritocratico, dove a ciascuno vengono attribuite responsabilità soltanto sulla base del proprio valore individuale e dove nessuno viene aprioristicamente considerato idoneo o non idoneo ad ottenere un lavoro, esercitare un diritto o svolgere una funzione sulla base delle caratteristiche che il senso comune gli attribuisce in quanto appartenente a una categoria. Un mondo senza stereotipi, dove non è vero che le donne sono tutte sensibili e gli uomini tutti competitivi, gli svizzeri tutti precisi e gli spagnoli tutti appassionati, gli anziani tutti equilibrati e maturi e i giovani… beh, i giovani loro-sì-che-ci-sanno-fare-col-computer.
Ma l’Italia non è questo posto: è un posto dove i giovani, più di tutti, sono aprioristicamente discriminati ed esclusi. Basti pensare a quanti lavoratori oggi sotto i trentacinque anni hanno la realistica attesa di una pensione o possono acquistare una macchina a rate senza farsi firmare una fidejussione dei genitori. O basti pensare che a 45 anni gente come Maria Chiara Carrozza, la presidente del Forum del PD sull’Università (una “nuova leva”, secondo la definizione di Mario Pirani), figli grandi e una brillante carriera alle spalle, deve lottare per quello che io chiamo scherzosamente il “diritto alla mezz’età”, che poi è semplicemente il diritto al rispetto che si deve a chi in ogni parte del mondo sarebbe considerato nel pieno della maturità, magari in grado di formare e guidare un governo come accade a Londra, a Washington o a Madrid.
L’Italia, e non solo la sua università, ha disperatamente bisogno di uno shock generazionale. Che non vuol dire “rottamare” gli anziani, al contrario. L’esperienza è una risorsa rara e preziosa che può essere utilizzata in mille modi o maniere. Ma un paese che si rispetti ha il dovere di investire sul proprio futuro e di consentire un fisiologico ricambio nell’esercizio delle responsabilità. Ciascuno è figlio del proprio tempo: se sei cresciuto e ti sei formato quando le mogli erano assoggettate ai mariti per legge, puoi decidere di elaborare il concetto della parità dei generi o puoi decidere di farne a meno e tenerti i tuoi punti di riferimento. Il rischio che si corre avendo un premier di 74 anni è che capiti di essere governati da uno che quello sforzo possa aver ben deciso di non farlo, e si vede qual è il ruolo delle donne in questo paese: quest’anno siamo al 72° posto nel Gender Gap Index del World Economic Forum, saldamente dopo il Botswana (39°) e l’Uzbekistan (58°). Complimenti.
Per lo stesso motivo non è pensabile che il sapere in questo paese sia trasmesso quasi esclusivamente da persone che si sono formate prima dell’invenzione della telescrivente. Andare in pensione a 65 anni è un destino normale per ogni lavoratore (establishment a parte, si intende) e comunque, se vivessimo in un sistema davvero basato sul merito individuale, non sarebbe difficile identificare quei talenti straordinari che a 65 anni meritassero di restare in servizio per continuare a servire didattica e ricerca: Rita Levi Montalcini esempio tra tutti. In un sistema sano e che tiene in qualche modo in conto il proprio futuro si dovrebbe poter fare affidamento su un contratto a tempo indeterminato a 30 anni e, eventualmente, godere di un contratto di consulenza a 70: l’Italia è il luogo dove accade incredibilmente il contrario. Bisogna invertire questa tendenza, non c’è altra scelta.