venerdì 25 febbraio 2011

Tutto cambia perchè tutto cambia: la perversione del cambiamento

" Mi piacerebbe vivere il cambiamento. Perché "vivere il" cambiamento significa "vivere nel" cambiamento. Ma un vero cambiamento dev'esser totale. Totale perché culturale: qualcosa non cambia mai "da sé", ma sempre in funzione di una temperie dovuta ad un pensiero radicale e trasversale.
Il cambiamento, allora, non inerirà mai solo un aspetto del reale, ma dovrà investirne la totalità. Tutto cambia perché tutto cambia. "
Queste parole, scritte da me sul mio profilo di facebook, sono lo spunto per questa nuova pagina dei Quaderni Laertini.
"Questo paese ha bisogno di rinnovamento: via le facce di un tempo, vengano le facce di questo tempo!" - spesso sento in giro, più o meno da gente di tutte le età, sessi ed estrazioni sociali, queste beneamate parole.
Il cambiamento e tutti i suoi (parziali) sinonimi sono l'oggetto del contendere ormai da tempo. E tutti i partiti se ne sono accorti: dal Pd (che ha un candidato sindaco trentenne) al Pdl (che ora ha coniato il motto "Rinnovamento nelle idee, continuità nei fatti": quali fatti, però, non si sa!)...passando per i nuovi(?) arrivi politico-associazionisti di "Tradizione e Progresso" e "Labortatorioincomune".
Tutti, dicevo, inneggiano al cambiamento/rinnovamento: chi nei volti, chi nei modi, chi nei toni, chi a parole.
Oggi non parlerò di politica, ma di una questione filosofico(-politica) molto sottile. A costo di perdere qualche assiduo lettore in cerca di non so quali critiche politiche, lo ammetto: la mia visione della politica mi porta anche ad esaminare questioni concettuali.
Dicevamo: secondo me, il cambiamento/rinnovamento, quello vero, non è vero se non è globale, totale.
Mi spiego: anche se la politica propugna il cambiamento/rinnovamento, resterà molto difficile che, solo grazie ad uno sforzo "politico", ci sia effettivamente un cambiamento.
Non serve, in poche parole, che cambi solo un aspetto della realtà. Questo perché il cambiamento/rinnovamento non ha bisogno meramente di esistere, ma ha bisogno di esser letto, comunicato, diffuso, compreso. Ma come può una società ancora impantanata nelle vecchie logiche leggere/comunicare/diffondere/comprendere il cambiamento? Evidentemente, non può.
Non si può, a mio avviso, pretendere un cambiamento dalla politica, ad esempio, se non cambia la società e i suoi schemi di comprensione/lettura. Il cambiamento c'è se viene percepito. E viene percepito, se i mezzi d'informazione, le formae mentis, le persone...cambiano. Da qui deriva la tautologia del titolo: TUTTO CAMBIA PERCHÉ TUTTO CAMBIA!
Ma le persone e le loro categorie di comprensione cambiano..se anche la politica cambia! E' un gioco "perverso" quello che vi sto proponendo stamattina: "tutto cambia perché tutto cambia" è anche, con una lettura trasversale, "nulla cambia se tutto non cambia!".
Una dialettica, insomma. Pura perversione (meta)fisica per un mondo migliore. In questa dialettica non c'è negazione, ma continua sintesi (Hegel mi scuserà: ma io non sono hegeliano!). Tutto gli aspetti del reale interagiscono e si sforzano insieme per il superamento del consumato, del passato.
Una tensione declinata al futuro che, però presuppone una forte comunanza d'intenti. La domanda è: coloro i quali parlano di futuro (a parole o scrivendo sui giornali!) come fosse una meta bellissima, sono tutti interessati a raggiungerlo?

domenica 13 febbraio 2011

Sono realista: voglio la Luna. E la raggiungerò

A vent'anni (ventuno, per la verità) non è facile tuffarsi in scenari neanche lontanamente immaginabili (e immaginati) quando, pochi anni prima, si parlava con gli amici di politica e di cambiare il mondo.
Se devo dirla tutta...per leggermi e comprendermi occorre un piccolo manuale di istruzioni, un vademecum utile a tutti.
Il post precedente (velenoso, bastardo, cattivo)...rispecchiava il mio stato d'animo fino a ieri sera. Perché dopo le 22:00 circa non mi sentivo più così.
Mi hanno rimbrottato in tanti, amici (davvero immensi) e famiglia (davvero sorpreso di vederli alle 21 a casa perché papà voleva che mi parlassero).
Tutti, però, evidentemente, non avevano bisogno di leggere un manualetto di "Guida a Leo"...perché chi ti conosce sa come sei e come stai dagli sguardi e dalle poche parole che la tua bocca emette.
Il mio manuale contiene solo qualche aggettivo, evidentemente fondamentale: sono orgoglioso, volitivo, testardo (ma non arrogante) e ambizioso quanto basta. Un pò lunatico, non lo nego.
La mia famiglia, dagli zii ai cugini dei miei, mi ha invitato a star calmo..."che la politica è così, ma tu sei un bravo ragazzo e ti prenderai le soddisfazioni che meriti...e cambierai quello che c'è da cambiare, con i tuoi amici!".
Alla fine ho pianto ed ho inviato un po' di sms a delle persone davvero importanti per me. E poi, ovviamente, altri amici (la comitiva di sempre) mi ha confortato ancor di più.
Questo post è una promessa che ho fatto a queste persone con il cuore in mano: riparto con tanta voglia, tanto cuore e tanta testa. Avevo bisogno di sfogarmi un po'. Ho visto che non sono solo (lo sapevo già...ma repetita iuvant) e sono pronto a spaccare il mondo.
Questo viaggio è appena cominciato...il biglietto l'ho già obliterato, ho occupato il mio posto. Sarà un viaggio lungo, cercherò di non perdere la calma e di aiutare tutti a raggiungere la meta finale: il futuro.
D'altronde, il vero Seneca lo disse: attraverso le asperità si arriva alle stelle.
Sono pronto!

giovedì 10 febbraio 2011

SOSTIENE MATERA



Che io non sia Thomas Mann, come il buon Pereira, questo è ovvio. Il contesto storico-sociale nel quale vivo è, per fortuna, diverso rispetto agli anni nei quali "vive e opera" il Pereira di Antonio Tabucchi.
In questa scena tratta dal film "Sostiene Pereira" (il mio consiglio è di leggere il libro e poi vedere il film: entrambi stupendi), la signora Delgado suggerisce a Pereira di "fare qualcosa, raccontare quello che succede, fare sentire che non è d'accordo". Sono gli anni tetri del fascismo portoghese di Salazar. I miei, dicevo, sono tempi migliori. Ma, si sa, che anche quando tutto va bene c'è qualcosa che non va.
La Laterza nella quale vivo, come l'Italia, è un paese tristemente depresso e schiacciato nella noia e nell'apatia della vita quotidiana. La colpa è di tutti: perchè dove uno rinuncia a cambiare, l'altro contribuisce a peggiorare.
E siccome non sono Thomas Mann (e neppure Pereira che almeno aveva un giornale su cui scrivere!), la mia opinione la leggono in pochi ma la leggono bene. E io la scrivo su questo blog.
Questo paese vive male e, probabilmente, sempre peggio vivrà per colpa della politica. O, perlomeno, la politica fatta come la si faceva prima. Non è nell'anagrafe, però, che una politica è vecchia...ma nei modi.
Laterza, come l'Italia, ha bisogno di verità dopo aver dormito per anni pensando che tutto andasse bene.
Laterza, come l'Italia, ha bisogno di persone che facciano politica per passione e non per tornaconto economico o di visibilità.
Laterza, come l'Italia, ha bisogno di riappassionarsi alla politica, alla cultura e alla vita.
Laterza, come l'Italia, ha bisogno di una scossa forte della realtà, di umiltà, di tenacia e di moralità.
Io sono solo un giovane teorico innamorato delle parole ma che conosce il peso delle azioni. Ho provato a fare quello che ho poco sopra riportato: sono soddisfatto e sono anche cresciuto molto. Forse troppo.
Io sono per un modo nuovo di far politica che agisca, con tutte le persone di buona volontà (e, quindi, me ne sbatto dell'anagrafe), nel senso da me indicato.
Non m'importa l'età, ma la mente: le persone valgono se sanno ragionare.
Non m'importa dei voti e non m'importa delle liste...m'importa delle idee e delle emozioni che queste possono trasmettere.
Probabilmente, per come ragiono io...la sinistra non vincerà mai. Ma, infondo infondo, vincere senza saper che fare...a cosa serve?
In questa fase, la sinistra laertina (me compreso) si sta arrovelando con passione sul "cosa fare e come farlo". Ma ben presto arriveranno i tempi delle scelte che "contano di più". Lì io non ci sarò, per scelta personale. Mentre altri torneranno. Come sempre, d'altronde.



Anche Pereira alla fine diventa rivoluzionario e grida contro lo schifo che lo circonda (come dovrebbe fare ogni persona colta). Matera, invece, è più giovane ed è sempre stato rivoluzionario. Rivoluzionario di sogni. Perché così capiva la realtà...che, infondo, è un sogno all'incontrario.

PENSIERI DEL (DIS)IMPEGNO - Atto II

Riflessione internazionale: Egitto, Marocco e (tra pochissimo, a quanto pare) Libia sono in rivolta (chi da tempo, chi da poco). Quella egiziana (l'unica effettivamente in corso), l'hanno chiamata "rivoluzione della Dignità" contro un regime illiberale.
Le lucide riflessioni di Barbara Spinelli (questo il link) sono interessanti perché portano all'attenzione del lettore le peculiarità della non-rivolta italiana. Parlando dei perché di una immutata leadership del premier si cita lo scrittore Izaguirre che ebbe a dire: "Le sue debolezze sono in realtà forze nascoste: "La corruzione, quando si espone, crea meraviglia. La capacità di scansare ogni controllo e di schivare la giustizia affascina. Affascina anche l'epifania finale dell'anziano concupiscente. Nella "rivoluzione del gusto" che questi impersona, l'epifania è l'unica opzione per l'uomo maturo moderno, e ineluttabilmente attrae un elettorato che condivide sogni di eterna gioventù".
E' interessante e, a mio avviso, condivisibile questo discorso: Berlusconi è come tutti(!) vorrebbero essere. La ricchezza, le belle e giovani donne a disposizione, il potere...a chi dispiacerebbero?
Le contromosse? La Spinelli suggerisce che "nessun politico dovrebbe, oggi, invitare gli italiani a sognare un paese diverso. L'Italia ha già troppo sognato. Nel caldo delle illusioni ha disimparato lo sguardo freddo, snebbiato. Non di sogni c'è bisogno, ma di risvegli". Giusto, per carità. Ma come fare?
L'assonnato, si sa, capisce solo il sogno. E il sogno è, spesso, più bello della realtà. Per farla breve: per svegliarmi ho bisogno di essere scosso. Ma non sempre ciò che vedrò mi piacerà...e probabilmente vorrei ricadere nell'ovattato sogno che facevo pocanzi.
Per carità, ciò che dice la Spinelli è essenzialmente giusto...ma pone il grosso problema della "forza della realtà" contro la "forza del sogno". La realtà potrebbe vincere solo "ai supplementari", dopo una guerra di logoramento. Ma, in questi tempi "del tutto e subito", siamo sicuri che ci sarà ancora un'Italia-dopo-il-sogno? E che Italia sarà?
Dopotutto, credo sia legittimo che gli scarsi investimenti nella cultura e nell'istruzione siano parte di un "piano" (lungi da me paventare ipotesi spionistiche, però), di una strategia volta a logorare, a consumare il lato critico (e, se vogliamo, morale) del pensiero degli italiani. Berlusconi è ormai il (sex) symbol di molti italiani a-critici (e in questo discorso non c'è la presunzione di verità che spesso si imputa alla sinistra o al pensiero libero). Berlusconi è, freudianamente, l'Ideale dell'Io italico. E come può un uomo battere il proprio Io Ideale, se quest'ultimo è sempre e comunque migliore?

P.S. In queste settimane, nelle quali divampava il caso Ruby, lo scandalo concussio-sessuale del premier...il mio blog è stato fermo causa preparazione esame di Storia Moderna. Ho ripreso i miei pensieri con la parte critica all'evento, conscio del fatto che siate già ben informati dell'accaduto.
Un caro saluto,
LM

PENSIERI DEL (DIS)IMPEGNO - Atto I

Alla sinistra che vorrei, alla Laterza che vorrei e all'Italia che vorrei servirebbe un pensiero, un'idealità capace di guardare oltre il 900 e i suoi schematismi ma che ne ricordi la storia e le strutture. La storia del 900 porta con sè conquiste e brutture.
Il ricordo, in questa fase, è fondamentale: non immobile ma dinamico. Dal ricordo delle conquiste si riparte, da quello delle brutture si ri-perde.
Andare oltre è un movimento del pensiero e del cuore. E' comunque un "moto a luogo". E' un viaggio del quale però si sa da dove si parte ma non si sa dove s'arriva. E' come fare un biglietto per l'Isola che-non-c'è.
Molte volte, addirittura, "si va oltre" andando verso un luogo che ancora non esiste. Ed allora il viaggio "che-dove-va-nessuno-sa" diventa un difficile viaggio nel "deserto del tempo" che è il futuro.
Dobbiamo ritornare all'emozione che una volte si provava pensando al futuro: la paura. Oggi si ha una terribile paura del presente. Un tempo il futuro spaventava perchè è l'unico luogo dove l'impossibile è possibile.
Il futuro, insomma, spaventava perchè era (potenzialmente) troppo bello. Occorre tornare ad avere paura della bellezza: perchè solo la bellezza (delle azioni e dei pensieri) salverà il mondo.